Cronaca

La moglie morì dopo aver rifiutato le cure, il marito scrive alla Procura: «Riaprite l’inchiesta»

La Redazione
Tribunale
Non si dà per vinto Salvatore Cialdella, marito di Maria Gentile, deceduta nel 2015 dopo aver rifiutato ogni tipo di cura che prevedesse trasfusioni di sangue o emoderivati, per non contravvenire ai dettami dei Testimoni di Geova
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«Riaprite l’inchiesta sulla morte di mia moglie». Non si dà per vinto Salvatore Cialdella, marito di Maria Gentile, la donna deceduta nel marzo 2015 dopo aver rifiutato ogni tipo di cura che prevedesse trasfusioni di sangue o emoderivati, per non contravvenire ai dettami della fede religiosa dei Testimoni di Geova cui apparteneva.

Nel settembre dello stesso anno, Cialdella presentò una querela ai carabinieri di Corato e poco più tardi la Procura aprì un’inchiesta per accertare le responsabilità del decesso. Dopo anni di indagini, nel novembre 2019 – nonostante l’opposizione formale del marito – il gip di Trani decise che non vi fossero elementi per ritenere che la morte della donna potesse essere sopraggiunta in conseguenza di pressioni o istigazioni e quindi archiviò il procedimento.

Salvatore Cialdella è però rimasto convinto che le cose andarono diversamente. Così nei giorni scorsi ha scritto a Renato Nitti, procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Trani, per chiedere di riaprire l’inchiesta.

Nella sua lettera, il marito della donna sottopone al procuratore una sentenza della Corte di Cassazione riguardante la richiesta di risarcimento danni morali patiti da un membro della chiesa dei testimoni di Geova, costretto ad effettuare una trasfusione di sangue necessaria a seguito di un incidente stradale, nonostante avesse dichiarato espressamente, in ossequio alle proprie convinzioni religiose, di non volere che gli venisse praticato tale trattamento.

«La domanda di risarcimento dei danni morali veniva rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello competenti» scrive Cialdella al procuratore capo tranese. «Le motivazioni addotte in entrambi i casi di giudizio stabilivano la legittimità dell’intervento sanitario volto a salvargli la vita e che il diritto alla stessa fosse indispensabile e costituzionalmente garantito, tale che nessuno potesse disporne liberamente. La Corte evidenzia come il rifiuto della trasfusione fosse stato affrettato in un momento in cui le condizioni del paziente non apparivano poi così critiche e che, essendo stato acquisito ai momento dei ricovero, non potesse ritenersi più operante. In sintesi, l’aggravamento del paziente costituiva una situazione clinica oggettivamente e pesantemente diversa da quella diagnosticata all’atto del ricovero».

Secondo Cialdella «dalle osservazioni formulate dal gip del Tribunale nell’ordinanza di archiviazione non traspare alcun riferimento alle situazioni illustrati dalla Suprema Corte».

In merito alla capacità di autodeterminazione della mia consorte – continua – il gip riferisce di una consulenza medico-legale risalente alle ore 17.30 del 20.02 2015, la quale presenta valutazioni sanitarie in palese contrasto con la consulenza psichiatrica effettuata da un altro dottore alle ore 11 del medesimo giorno. A conclusione della sua consulenza, il medico prescrive ai sanitari del reparto nel quale era ricoverata mia moglie “di informare adeguatamente la paziente acquisendone la volontà per rispettarla”.

Questa volontà è stata realmente acquisita dei medici del reparto oppure è stata ritenuta sufficiente la firma apposta da mia moglie sulla cartella clinica il giorno 20.02.2015 a causa del “si riserva di decidere” sottoscritta dall’amministratore di sostegno, al quale alle ore 13 dello stesso giorno si erano rivolti i medici del reparto per acquisirne la volontà?» si chiede il marito della vittima.

«Acquisire la volontà della mia consorte nei modi e nei termini indicati dalla sentenza della Suprema Corte non solo sarebbe stato obbligatorio, ma indispensabile a garantire il diritto dell’autodeterminazione in relazione alla propria salute e dai trattamenti sanitari.

Per altro aspetto – prosegue Salvatore Ciadella – le osservazioni del gip a sostegno della volontà di mia moglie di rifiutare le cure del caso appaiono piuttosto risibili, poiché escludono frettolosamente la necessità di una consulenza tecnica calligrafica per me indispensabile al fine di escludere possibili manomissioni della firma apposta da Gentile Maria.

Per quanto attiene al dissenso, la Suprema Corte, sempre con la citata sentenza, ribadisce che esso, per essere valido, dovrà essere inequivocabile, attuale, effettivo e consapevole. A mio modesto parere – conclude il marito della donna – nella controversia in esame, il dissenso espresso dalla mia consorte non può ritenersi né attuale, né effettivo, né tantomeno inequivocabile, in quanto è stato espresso sì per ben due volte, ma in un tempo piuttosto remoto».

mercoledì 1 Luglio 2020

(modifica il 21 Luglio 2022, 1:26)

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