L'intervista a cuore aperto

Asselti, dieci anni neroverdi. «Ho dato tutto al Corato ma sono stato umiliato»

La Redazione
Antonio Asselti
L'ormai ex capitano neroverde racconta i suoi dieci anni al Comunale e spiega cosa l'ha spinto a scrivere la lettera d'addio
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Dopo quasi 200 presenze, quattro stagioni con la fascia al braccio e oltre dieci anni dall’esordio in maglia neroverde il Corato e Antonio Asselti si separano. Una frattura dolorosa che l’ormai ex capitano ha esternato con un lungo post su Facebook. Uno sfogo e una dichiarazione d’amore per la maglia allo stesso tempo, con accuse anche forti ad una parte della dirigenza neroverde. Rimangono tanti ricordi di una carriera spesa finora quasi interamente al Comunale, tra alti e bassi, rifondazioni, dolorose sconfitte e incredibili vittorie. Ne abbiamo ripercorso le tappe con un’intervista a cuore aperto.

Partiamo dal 2008. Settore giovanile del Bari.

Era l’anno dei Galano e dei Bellomo in Primavera. La società ci manda in prestito e io scelgo Corato per finire la scuola. Dopo tre giornate faccio il mio esordio in campionato contro il Locorotondo da esterno alto. Un partitone. Michele Lotito mi fa giocare con continuità fino al 10 febbraio 2009. Nel frattempo a me e a Frascolla si era interessato il Novara di C2.

Cosa accadde quel 10 febbraio?

Era un martedì, al termine dell’allenamento decidemmo di fare una partitella di dieci minuti. Passaggio rasoterra di Divincenzo e Camporeale mi esce addosso. Frattura scomposta in quattro punti, quando vidi la gamba completamente deformata mi misi a gridare spaventato. Il Bari (che deteneva il cartellino ndr) mi fece portare al Policlinico dove fui operato il giorno dopo dal prof. Moretti. Ho portato un fissatore esterno per sette mesi, sono andato a scuola con la sedia a sdraio per tenere la gamba distesa.

Dopo quanto tempo sei rientrato in campo?

Ci ho messo oltre un anno per recuperare. Lotito mi fece giocare le ultime partite della stagione successiva quando ancora zoppicavo e iniziò a utilizzarmi come terzino. Rientrai completamente l’anno successivo a Fasano. Una stagione difficile, da Savoni passammo a Longo e da Longo a Renato Olive, ex Bologna in A. Un professionista, riusciva a farci fare allenamento con grande entusiasmo.

Il 2010 è l’anno del San Paolo dei miracoli.

Un’impresa. All’inizio si partì con un progetto ambizioso che venne ridimensionato. Ci ritrovammo ultimi a 13 punti dalla penultima quando arrivò Sgobba. Da quel momento iniziammo a fare risultato ovunque. Vincemmo a Bisceglie prima in classifica, collezionammo 13 vittorie consecutive e ci salvammo alla penultima giornata. Sgobba giocava con la difesa a tre e io feci il terzo a destra, imparando i compiti del difensore centrale. Feci anche gol a Corato in Coppa, di testa.

Nel 2011 il ritorno a Corato.

Iniziai a Molfetta dove non mi trovavo bene. Giocavo fuori ruolo e avevo il pubblico contro. Dopo una corsa contro il tempo per ottenere il cartellino mi trasferii a Corato con Valeriano Loseto che non mi conosceva personalmente ma aveva seguito il mio percorso calcistico. Memorabile la vittoria in casa del Cerignola con un mio gol di testa prima del 1-2 di D’Introno. L’anno successivo in Promozione giocavo in coppia con Vito Baldassarre centrale. Meritavamo la finale playoff, giocammo meglio dell’Altamura.

La prima fascia di capitano quando l’hai indossata?

Avevo deciso di non giocare più per dar spazio al lavoro. Felice Bruno e Pinuccio Strippoli cercarono in tutti i modi di farmi tornare in campo e ci riuscirono. Ero indietro con la preparazione e giocai uno spezzone di partita al San Paolo. Dopo una settimana mi ritrovai capitano a Trani, contro il Gravina capolista, davanti a tantissimi coratini. Ho ancora i brividi se ci penso. Giocai quasi tutte le partite ma non la finale playoff contro l’Unione Calcio Bisceglie.

Dopo quella partita il calcio a Corato finì.

Ricordo che venne da me Felice Bruno e mi disse: “Ripartiremo dalla Seconda Categoria, forse dalla Prima. Che vuoi fare, te la senti?”. Avevo richieste in Eccellenza ma dissi di sì e rimasi a Corato. Fu un anno difficile, cambiammo tre allenatori ma riuscimmo comunque a salire. Nonostante la categoria si creò un gruppo incredibile, affiatato e portammo di nuovo l’entusiasmo in città.

L’anno successivo è quello dell’arrivo di Maldera.

Il crocevia della stagione e del futuro del Corato fu con il Trulli e Grotte a novembre. La società partì con Fanelli per fare un buon campionato ma fu esonerato. Perdevamo 1 a 0 in casa ma rimontammo con una mia doppietta. Maldera si appassionò, Di Corato accettò di sedere in panchina e non perdemmo più una partita fino all’ultima di campionato.

Il resto è storia nota. I due anni di Eccellenza chiusi lontano dai playoff, la non riconferma di qualche giorno fa e la lettera che hai scritto.

Ho tirato fuori tutto quello che avevo dentro e che non ho esternato per il bene del gruppo, dei tifosi e della città. Ho sofferto tanto, chi mi è stato vicino ne è testimone. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il modo in cui mi hanno detto che non sarei stato riconfermato. Non critico la scelta di chiudere il rapporto, è la società che decide e ne ha tutto il diritto ma dopo aver dato tutto a questa maglia mi sarei meritato un trattamento diverso.

Quando si è incrinato il rapporto?

Durante il ritiro dell’anno scorso, venni a sapere che alcuni dirigenti erano andati dal mister per dirgli che non dovevo giocare.

A questo episodio fai riferimento quando scrivi di bocconi che hai ingoiato?

Mi sono sentito solo. Nonostante fossi capitano della squadra non sentivo da parte loro fiducia e considerazione per il ruolo che ricoprivo. C’era chi tramava alle mie spalle e non ne capisco ancora il motivo.

Nella lettera hai puntato il dito verso il direttore sportivo, Vito Tursi.

Ha detto sin dal primo anno che i coratini destabilizzavano l’ambiente e ha continuato a dirlo fino alla fine, quest’anno, per giustificare i propri errori dettati dall’improvvisazione. Lui è uno dei responsabili ma non il solo.

In questa annata difficile c’è un momento che salvi?

La prima partita da titolare a dicembre, col Trani. Un derby. Segno il gol del sorpasso, il 2 a 3 e corro verso la curva. Lì in mezzo incrocio lo sguardo con Fabiola, la mia ragazza, in lacrime perché sapeva tutto quello che avevo subito e tutto il peso che mi aveva aiutato a togliere dal cuore. Ecco, quel gol, quelle lacrime, quel momento è stato tra i più belli della mia carriera.

Alleggeriamo l’intervista con un piccolo gioco. Il miglior presidente che hai avuto?

Luciano Rutigliano che mi è stato vicino durante l’infortunio e l’indimenticabile Pinuccio Strippoli. Sono diventato quello che sono a Corato grazie a lui che mi volle fortemente.

Allenatore preferito.

Leonino e Loseto. Carismatici, bravi a creare gruppo e gente perbene. Mi chiamavano spesso per sapere come stessi, si preoccupavano dei loro giocatori.

Il miglior giocatore che ha giocato con te e quello che hai visto giocare da avversario.

Corrado Uva e Sabino Terrone, un altro pianeta. Tra gli avversari Simone D’anna e recentemente Scialpi.

Ora che hai intenzione di fare?

La mia priorità è il lavoro. Non vivo dal calcio, infatti ho anche giocato gratis per il Corato. Ci penserò ma la delusione è ancora tanta.

mercoledì 3 Luglio 2019

(modifica il 21 Luglio 2022, 16:54)

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Mario 62
Mario 62
4 anni fa

Purtroppo bisogna farsi una ragione,,,,,,anche i grandi amori finiscono la colpa sarà sempre di qualcuno ma bisogna rifarsi un’altra vita in questo caso credo che il tuo talento sarà agli occhi di altre società. Buona fortuna.