Spettacolo

Danza e lockdown, Roberto Altamura: «Uno sforzo in più per lo spettacolo dal vivo»

Angela Iannone
Roberto Altamura in scena
Il direttore artistico della compagnia Milano Contemporary Ballet racconta le difficoltà che il settore della danza sta affrontando in questo post quarantena
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Questi mesi di pandemia hanno aggravato le condizioni del mondo dello spettacolo, già “precario”. Tra teatri e musei chiusi, spettacoli cancellati, biglietti rimborsati, concerti annullati e festival rimandati a chissà quando, gli artisti si sono uniti in un unico grido di dolore. L’impatto economico generato dal lockdown è stato drammatico sul settore artistico, che nonostante riaprirà i battenti il prossimo 15 giugno (teatri, cinema, set) non sa ancora in quali condizioni e con quali garanzie.

Gli stanziamenti del governo sul settore artistico saranno sufficienti a tamponare l’emergenza? In un momento buio come questo, ciò di cui abbiamo bisogno è soprattutto tornare ad emozionarci, a credere in quella bellezza capace di ingentilire gli animi di chi la crea e di chi la percepisce. Gli artisti devono essere sostenuti e valorizzati, nella stessa maniera in cui noi abbiamo bisogno di loro per continuare a credere nell’unica cosa che i soldi non possono comprare: i sogni.

Questa volta è il coratino Roberto Altamura a raccontarsi a CoratoLive.it. Direttore artistico della compagnia Milano Contemporary Ballet, Roberto ha portato in scena (anche a Corato) molti spettacoli su tematiche attuali: dalla fugacità del tempo (Chronos), all’emergenza climatica (Eden). I suoi spettacoli riescono sempre a rappresentare un connubio perfetto tra sinuosità di movimento, armoniosa sintonia tra i ballerini e intensità nella metamorfosi tra vari temi e danza.

Roberto esterna le difficoltà che il settore della danza sta affrontando in questo post lockdown. Restano ostinati, tuttavia, il suo entusiasmo e la sua voglia di continuare a lavorare su nuovi progetti e idee da realizzare al più presto.

Ti sei dedicato a qualcosa di particolare in questo periodo?

Bella domanda. Ho impiegato la maggior parte del tempo cercando di pianificare nuovamente tutto quello che avrei dovuto fare nei due mesi appena passati e nei prossimi mesi, almeno fino a settembre. Cosa non semplice, perché alcune scelte non possono prescindere da date, da viaggi che si possono o non possono fare, condizioni che i vari decreti impongono. Quindi al momento è tutto un fare e disfare a seconda di quello che la giornata propone.

Che impatto ha avuto tutto questo sulla tua vita da direttore artistico di Milano Contemporary Ballet?

Questo al momento è ancora un nervo scoperto. Per quanto riguarda la compagnia le complicazioni sono parecchie. Avevamo in programmazione cinque date tra maggio e agosto, ovviamente tutte saltate, alcune non riprogrammabili. Un debutto saltato a fine aprile con la produzione di una coreografa spagnola, Roser Lopez Espinosa. Per quanto riguarda il training per giovani danzatori, abbiamo dovuto interrompere qualsiasi attività il 24 febbraio. Qui a Milano è stato complicato. Alcuni dei ragazzi arrivano da tutta Italia o da altre nazioni o continenti come Francia, Belgio, Austria, Australia, e alcuni di loro aspettano ancora di poter tornare a casa.

Come stanno i vostri ballerini?

Come tutti credo, almeno tutti quelli che fanno questo tipo di mestiere, un po’ sconfitti. Quando danzi vivi di stimoli che trovi attraverso gli altri, hai bisogno di contatto, hai bisogno di imparare costantemente, essere curioso. L’isolamento non aiuta, la social distancing non aiuta. Senza ovviamente contare che la prospettiva per i prossimi mesi al momento non è delle più rosee.

Come vi state organizzando?

Dal punto di vista della performance o anche solo della sala prove al momento c’è poco da fare. Le regole del distanziamento non ci permettono di danzare come si dovrebbe sul palco. Non è possibile mantenere le distanze e usare la mascherina.

Quanto, nella danza, è fondamentale il contatto fisico e come da ora si potrà sostituire l’atto di due corpi che si sfiorano?

Non è possibile sostituirlo. Il contatto, la percezione degli altri, la cura con cui si interagisce con un altro corpo, il respiro degli altri, è parte fondamentale della danza, soprattutto quando non si danza da soli. Io credo che per il momento, per “spirito di sopravvivenza”, sarà sempre più frequente vedere performance dei “soli”. Questa, tra l’altro, è una cosa che in molti festival italiani già vediamo in abbondanza. Dobbiamo solo sperare che la prospettiva possa cambiare e tornare a lavorare anche con il contatto. Certo, magari con più consapevolezza.

A Milano ci sono novità circa il settore artistico e teatrale, in particolare?

In questo momento è tutto immobile, le uniche cose che si muovono sono le persone e le idee. Sono nati molti movimenti in questo periodo che si occupano della situazione dei lavoratori dello spettacolo e in cui ci si può confrontare, discutere, scambiare opinioni su come il mondo dell’arte performativa cambierà e come affronteremo il cambiamento. A parte questo, se fino a febbraio potevano esserci delle novità, il Covid19 ci ha messo una pietra sopra (almeno per ora).

Se dovessi rappresentare con la tua danza questo periodo, a cosa penseresti?

Sai che non lo rappresenterei? Il confinamento, la limitazione di spazio e di libertà (che tutti abbiamo sperimentato nel lockdown), sono convinto che possano dare spunti drammaturgici interessanti, ma anche no, non ora. Pensiamo a qualcosa di più poetico, più positivo.

Questo periodo ha sicuramente danneggiato il settore della danza. Secondo te quali saranno le conseguenze?

Le conseguenze le stiamo vivendo ora. Teatri chiusi, festival cancellati, festival online, contratti che sono saltati, aiuti economici minimi. Pensiamo solo al pubblico: portare il pubblico a teatro prima era già una difficoltà, ora con posti ridotti, distanziamento, mascherine, sarà uno sforzo ancora più grande.

Che tipo di risorse, oltre a quelle economiche, è necessario mettere in campo in questo momento nel settore della danza?

Partiamo dal presupposto che le misure messe in campo fin ora non sono sufficienti ma è un miracolo che siano arrivate e quasi per tutti, è stato fatto un grandissimo sforzo da parte delle associazioni di categoria e dai sindacati per arrivare a questo risultato.

Forse si sarebbe dovuto fare come in altri Paesi, dove è già stata posticipata la riapertura dei teatri per il prossimo autunno garantendo ai lavoratori dello spettacolo il sostentamento necessario per rimanere in vita fino a quel momento. In Italia, secondo l’ultimo Dpcm teatri riapriranno il 15 giugno, questo significa, detto in maniera molto semplicistica: “vi facciamo riaprire, sta a voi decidere se potete lavorare a queste condizioni, se non lavorerete è una vostra responsabilità”. Eppure io non credo che il nostro Ministro ai beni e le attività culturali non fosse consapevole della situazione in cui avrebbe messo tutto il comparto.

E riguardo il teatro? Cosa pensi degli spettacoli teatrali trasmessi in tv?

Questa è una domanda con tante risposte. Se parliamo di opere di repertorio e soprattutto prodotte da grandi fondazioni che di solito propongono costi proibitivi per un biglietto, sono d’accordo, perché può essere un mezzo per appassionare e rendere la cultura fruibile a qualsiasi tipo di pubblico. Trovo un peccato che quando questo succeda non venga trasmetto su uno dei canali principali della nostra tv di Stato che ha a disposizione nei propri archivi centinaia di spettacoli che hanno fatto la storia del teatro in Italia. Bisogna però sempre tenere conto che il pubblico italiano è un pubblico pigro, va stimolato, va educato ad andare in platea. Il nostro Ministro per i beni e le attività culturali ha proposto una sorta di “Netflix dello spettacolo dal vivo” … ma dobbiamo anche parlarne?

domenica 31 Maggio 2020

(modifica il 21 Luglio 2022, 2:38)

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