L'intervista

Pierluigi Balducci in Brasile con “amori sospesi” «per ricollegarci alle nostre radici»

La Redazione
Pierluigi Balducci
Assieme al clarinettista Mirabassi e al chitarrista Di Modugno, quattro date tra Sao Paulo e Rio de Janeiro per il bassista coratino
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Oggi Pierluigi Balducci volerà in Brasile per il tour del trio che porta il suo nome, quello del clarinettista umbro Gabriele Mirabassi e quello del chitarrista biscegliese Nando Di Modugno. Un viaggio che, simbolicamente, affonda le sue origini nell’adolescenza del bassista coratino. «Ricordo quando, sedicenne, ascoltavo la bossa nova e ne trascrivevo le note sulla mia chitarra». Una passione sviscerata negli anni, fino a diventare uno dei temi ricorrenti della sua musica.

Come nasce quest’esperienza?
Con il Balducci/Mirabassi/Di Modugno Trio suoniamo molto spesso in Italia ed Europa. Le nostre influenze legate alla cultura brasiliana hanno portato a delle richieste esplicite da parte di alcuni festival locali. A quel punto Puglia Sounds Export (un ramo del programma della Regione Puglia per lo sviluppo del sistema musicale regionale ndr) si è attivata co-finanziando le spese. Il loro supporto è importante.

Quante sono le date?
I concerti saranno quattro. Uno a São Paulo (20 settembre JazzNos Fundos), capitale musicale brasiliana assieme a Rio, importante perché ospita 5 milioni di italo-brasiliani. Poi due a Brasilia (24 e 25 settembre, Clube do Choro) e, infine, a Rio de Janeiro (26 settembre, Manouche).

Perché la presenza degli immigrati a São Paulo è così importante?
Il Brasile è così grande da poter essere definito un continente nel quale sono fioriti centinaia di generi musicali, spesso caratteristici di ogni città. Bahìa ha il suo sound, il nord-est ha il frevo, Rio il samba. Come trio ci siamo sempre ispirati ad un genere denominato “choro” che risente tantissimo della musica italiana, barocca ed europea. Il choro è la base della musica popolare brasiliana dal quale sono nati successivamente tanti altri generi. A San Paolo andremo a ricollegarci alle nostre radici, quelli della cultura bandistica e operistica.

Quanto il Brasile, entra nella vostra musica?
Non abbiamo un approccio filologico alla musica brasiliana. Che senso avrebbe ascoltare un pugliese che replica un pezzo di bossa nova? Siamo tre jazzisti italiani con solide radici nel jazz e nella musica classica che hanno una forte passione per le sonorità brasiliane. Ho approfondito la conoscenza della musica del Brasile grazie a Gabriele (Mirabassi ndr) che suona tantissimo da quelle parti e ha lo stesso successo sia qui che lì. Ha una grande conoscenza del tema.

Sudamerica già approfondito in passato.
Con la Nuevo Tango Ensamble avevamo già esplorato le sonorità sudamericane partendo da Astor Piazzolla. La grande musica nasce a livello popolare e gli emigranti hanno avuto un impatto mostruoso sulla sua trasformazione. Un esempio? Il jazz è nato a New Orleans da cubani, afroamericani, ebrei e italiani. Spesso i jazzisti neri imparavano a leggere e scrivere le note andando a lezione dagli italiani. Il primo disco jazz? Nick La Rocca, un siciliano, nel 1917. Non siamo stati noi a creare il jazz ma abbiamo contribuito.

Ti dividi tra concerti e cattedra visto che sei tra i soli quattro insegnanti italiani di ruolo che insegnano lo strumento in Conservatorio. C’è altro?
Dopo “amori sospesi” abbiamo prodotto un nuovo album che segue il filo conduttore del precedente. L’abbiamo realizzato con la casa discografica leccese Dodiciluna che ci ha permesso di registrare in uno degli studi ECM in Friuli con una qualità straordinaria. Anche in questo la magia delle contaminazioni provenienti dal Brasile è forte. Lo ascolterete a breve.

martedì 17 Settembre 2019

(modifica il 21 Luglio 2022, 13:22)

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