Spettacolo

In piazza con “pinne, fucile ed occhiali”. Vianello: «Felice di tornare a Corato dopo 56 anni»

Ingrid Vernice
Edoardo Vianello
«Sono felice di essere tornato, ma non garantisco per la prossima volta», ha detto scherzando durante il concerto il "papà" de "I Watussi" e "Abbronzatissima"
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A concludere le celebrazioni in onore di San Cataldo, è arrivato come sempre il concerto “fuori programma” che si è tenuto nella serata di ieri in piazza Cesare Battisti.

Protagonisti, apprezzati dal pubblico, Edoardo Vianello e la band made in Capri “Quisisona” che ha riscaldato gli animi del pubblico prima dell’entrata in scena del cantante romano.

Lo spettacolo – dal titolo “Ottantavoglia di cantare” – ha ripercorso le tappe più significative della carriera di Vianello, dagli esordi, all’ottantesimo compleanno da poco trascorso. Un’occasione per tutti i nostalgici, ma anche per un nutrito numero di ragazzi.

Ottant’anni, con un timbro vocale ancora da ventenne e una grande verve, la “voce dell’estate” per eccellenza sembra non dare conto allo scorrere del tempo. Durante l’esibizione Vianello ha fatto da “Cicerone” attraversando i momenti salienti del suo repertorio, dai “Watussi” e “Abbronzatissima” a “Guarda come dondolo”, “Pinne fucile ed occhiali” fino a brani scritti per colleghi, come “La partita di pallone” di Rita Pavone, e le più celebri composizioni dei Vianello interpretate negli anni settanta con Wilma Goich.

Non sono mancati i momenti in cui il cantante ha ricordato i suoi esordi tra timidezza e difficoltà. Tra questi, anche la sua prima visita a Corato. «La prima volta che mi sono esibito in questa città era il 1962. Sono felice di essere tornato dopo ben 56 anni, ma non garantisco per la prossima volta», ha detto scherzando il cantante rivolgendosi al pubblico.

Stupefacenti la voce, ancora cristallina ed unica di Vianello, e l’energia di un giovane ribelle che conserva la propria voglia di donare allegria e spensieratezza attraverso la propria musica.

La biografia

Edoardo è figlio del poeta futurista Alberto Vianello. Sin da bambino inizia a suonare una fisarmonica, che il padre aveva regalato a sua sorella, provando ad inventare nuovi motivi e da allora non ha mai abbandonato la sua grande passione che lo accompagna da oltre settant’anni.

Il vero debutto professionale avviene nel 1959 come attore e cantante, nella compagnia di Lina Volonghi, Alberto Lionello e Lauretta Masiero. Incontra Teddy Reno, che gli fa conoscere un suo amico, il paroliere Carlo Rossi, con cui Vianello avvierà una lunga collaborazione. In una delle sue serate viene notato da un funzionario della RCA, e in breve ottiene un contratto che gli consente di pubblicare nello stesso anno il suo primo 45 giri, “Ma guardatela”.

La prima partecipazione televisiva importante è “Studio Uno”, il celebre show con Mina, Don Lurio e le Gemelle Kessler, dove lancia quello che sarà il suo primo grande successo “Il capello”. Il brano lo rende noto al grande pubblico come cantautore scanzonato, caratteristica che lo contraddistinguerà sempre nell’arco della lunga carriera: nella memoria collettiva i suoi successi sono parte integrante della colonna sonora delle estati spensierate degli anni ’60. L’arrangiamento de “il Capello” è del premio Oscar Luis Enriquez Bagalov, mentre per i successivi 5 anni le orchestrazioni dei suoi dischi saranno curate da Ennio Morricone (due premi Oscar), che con i suoi geniali arrangiamenti darà un valore aggiunto ai suoi brani.

Nell’estate del 1962 “Pinne fucile ed occhiali” e “Guarda come dondolo”, che saranno poi inserite nella colonna sonora del film “Il sorpasso” di Dino Risi, ne segnano l’affermazione definitiva, sia come compositore che come cantante. Nel 1971 crea il duo I Vianella, insieme alla moglie Wilma Goich, che si imporrà al Disco dell’Estate del 1972 con “Semo gente de borgata” e a quello dell’anno successivo con “Fijo mio”, scritta da Franco Califano e Amedeo Minghi. Nell’estate del 2017 pubblica con il gruppo napoletano dei “Quisisona” la canzone “Vecchio Twist”.

Le canzoni di Vianello sono state tradotte in numerose lingue, i musicarelli che ha interpretato hanno segnato l’immaginario collettivo di molti italiani, il suo stile compositivo e vocale ha dato un’impronta subito riconoscibile all’estate di ieri ed oggi (alcuni dei suoi brani cult sono stati anche remixati in più occasioni).

Quisisona
La band Quisisona, che come hanno spiegato i cantanti sul palco prende ispirazione del noto albergo di lusso caprese “Quisisana”, è costituita da sette musicisti: Max Baldini alsax; Antonio Baldino alla tromba; Gianfranco Bozzaotre alle tastiere/basso; Corrado Orillia alla batteria; Lorenza Marmo e Francesco Boccia voci.

Da anni interpretano con originalità musiche della tradizione napoletana, italiana ed internazionale allietando le notti capresi e quelle dei più famosi locali d’Italia, esibendosi anche in jam-session con artisti come Michael Bublè, Byoncè, Craig David, Skin, Cristian De Sica, Zucchero e tanti altri. Voce maschile della band è Francesco Boccia già noto al grande pubblico per il brano di successo “Turu turu” finalista al Festival di Sanremo 2001 ed autore tra l’altro del brano “Grande amore” con il quale i tre giovani tenori de Il Volo vincono il Festival di Sanremo 2015.

mercoledì 22 Agosto 2018

(modifica il 22 Luglio 2022, 10:10)

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salvatore di gennaro
salvatore di gennaro
5 anni fa

Questo “martedì” sancataldino è passato nel migliore dei modi. Si sono spesso ripetuti, ieri, due anni della nostra storia: il 1962 e il 1963. Io, che li ho vissuti da quindici-sedicenne, posso confermare che quello è stato il periodo più felice dell'Italia: era l'apice del boom economico e si aveva tanta voglia di vivere serenamente. Poi, come ho affermato in altre occasioni, l'avversione dei giovani nei confronti di tutto ciò che scivola via come l'olio e le influenze contestatrici, sempre giovanili, che provenivano dal solito mondo anglosassone, nostro nuovo nume ispiratore, hanno iniziato la nostra trasformazione, culminata con gli “anni di piombo” ('70 e oltre). La canzone “Guarda come dondolo” la ritroviamo anche in un altro film-culto di Totò, del '63: “Il comandante”. Da vedere.