Teatro

“Il lago dei cigni”, la danza tra gli stracci consumati di una vita d’artista

La Redazione
“Il lago dei cigni”
Come solo un grande classico può fare, lo spettacolo del coreografo e regista Fabrizio Monteverde ha trascinato il pubblico verso altre dimensioni, mescolando realtà e finzione
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C’è poco da discutere, quando si tratta di danza il teatro comunale sembra essere piccolo. È stato così anche ieri sera, quando il Balletto di Roma ha portato in scena “Il lago dei cigni”. Un gradito ritorno sul palcoscenico coratino dopo un’altra splendida produzione, “Lo Schiaccianoci” di Riccardo Reim con Andrè De La Roche: CoratoLive.it, nel mese di gennaio del 2016, lo ha raccontato con le immagini.

Come solo un grande classico può fare, lo spettacolo ha trascinato il pubblico verso altre dimensioni, mescolando realtà e finzione. Reinventato in chiave contemporanea dal coreografo e regista Fabrizio Monteverde, “Il lago dei cigni” ha riproposto la storia d’amore tra il Cigno Bianco e il Principe Siegfried: un viaggio tra passioni, illusioni, prigionia e liberazione in cui unico vincitore sarà l’eterno spirito dell’Arte.

La musica di Cajkovskij è arrivata dritta al cuore del pubblico, soprattutto nelle battute finali. Quanto mai desiderabile la presenza dell’orchestra in buca: un motivo per cui dire che il comunale si dimostra non abbastanza grande per alcuni spettacoli.

A scena aperta gli applausi, anche quando buona norma avrebbe previsto di evitarli, così come i cambi d’abito. “Cruda”, e al tempo stesso non semplice da dimenticare, la conclusione. In grado di lasciare l’acquolina in bocca e spingere a cercare la prossima data della Compagnia o, magari, del prossimo balletto in città.

Note di regia
Il Lago dei Cigni è «una favola senza lieto fine in cui i due amanti protagonisti, Siegfried e Odette, pagano con la vita la passione che li lega. Una di quelle “favole d’amore in cui si crede nella giovinezza” avrebbe detto Anton Čechov, scrivendo nell’atto unico “Il canto del cigno” (1887) di un attore ormai vecchio e malato che ripercorre in modo struggente i mille ruoli di una lunga carriera.

Con dichiarata derivazione intellettuale dallo scrittore russo, il Lago di Monteverde trova ne Il Canto il proprio naturale compimento drammaturgico e in un percorso struggente di illusioni e memoria porta in scena un gruppo di “anziani” ballerini che, tra le fatiche di una giovinezza svanita e la nevrotica ricerca di un finale felice, ripercorrono gli atti di un ulteriore, “inevitabile” Lago.

Persi tra i ruoli di una lunga carriera, i danzatori stanchi di un’immaginaria compagnia decaduta si aggrapperanno ad un ultimo Lago, tra il ricordo sofferto di un’arte che travolge la vita e il tentativo estremo di rimandarne il finale. Individualità imprigionate in una coazione a ripetere, sabotatori della propria salvifica presa di coscienza oltre i ruoli di una vita svanita, gli interpreti ripercorreranno la trama di un Lago senza fine, reiterandovi gesti e legami nella speranza straziante di sopravvivere al finale di una replica interminabile.

Condannata ad una perenne metamorfosi, donna a metà tra il bene e il male, Odette/Odile sarà cigno e principessa, buona e crudele, amante fedele e rivale beffarda. Metafora di un’arte che non conosce traguardo, cercherà se stessa in un viaggio tormentato d’amore, tradimento, prigionia e liberazione. In un teatro in cui tutto ha inizio e nulla ha mai fine, andrà incontro agli stracci consumati di una vita d’artista con lo spirito bianco di una Venere per sempre giovane».

sabato 22 Aprile 2017

(modifica il 23 Luglio 2022, 11:54)

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