Spalla

Cilento, un’esperienza da godere a cinque sensi

Elena Albanese
Pollica
Il racconto di un viaggio in questa grande, meravigliosa e poco conosciuta «regione imprigionata in una provincia», ricca di storia e di natura
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Il Cilento, grande, meravigliosa e poco conosciuta «regionenimprigionata in una provincia», come è stata definita, è un territorio che, andispetto dell’equivoco con cui alcuni la confondono col Salento, ha da offrirenmolto più del semplice mare.

Va infatti vissuta con la lentezza e l’attenzione che merita,nperché necessita un’immersione totale nell’ambiente circostante, che aspettansolo di essere goduto con tutti e cinque i sensi.

La vista, innanzitutto. Vista che spessonnon ce la fa ad accogliere tutta la maestosità della storia che si erge allanluce del sole nei parchi archeologici di Paestum e di Elea-Velia,ni quali racchiudono ancora tracce di popoli ingegnosi e intraprendenti, sopravvissutenimperterrite allo scorrere del tempo. Come i turchi Focei, che acquistarononqueste terre con moneta sonante, senza versare sangue nemico per conquistarle,ncostruendo un’acropoli circondata dal mare da cui, ancora oggi, si domina unnpaesaggio mozzafiato sulla costa sottostante.

Sono «luoghi che intendono valorizzare il passato e allo stessontempo il territorio a 360°», come spiega la direttrice del sito di Velia GiovannanScarano.

Ma se il 700 avanti Cristo (epoca del più antico tempio dinPaestum) vi sembra troppo recente, potete provare a scendere nel buio dellengrotte, di cui la zona è ricca. In quelle di Castelcivita, pernesempio, nella cui “anticamera” hanno vissuto, fino a 39mila anni fa, Uomo dinNeanderthal e Homo Sapiens. Anche se i primi a esplorarle davvero, nel 1889,narmati solo di lampade a olio, furono i fratelli Giovanni e Francesco Ferrara,n14 e 16 anni, alla vana ricerca del leggendario tesoro di Spartaco. Una storia,nla loro, non certo a lieto fine. Smarritisi nei meandri di stalattiti enstalagmiti millenarie, furono recuperati dai soccorritori dopo sei giorni. Unondei due impazzì, l’altro ci rimise la vita.

Buio e giochi di luce colorata si alternano anche nelle più notengrotte di Pertosa-Auletta, la cui peculiarità, unica in tutta Europa, ènl’essere navigabili. A consentire l’affascinante traversata su una chiattanspinta da moderni Caronte avvolti nell’ombra, sono le guide della FondazionenMIdA (Musei Integrati dell’Ambiente), che fedeli al geniale motto “Noi nonnsiamo superficiali”, promuovono dal 2004 le risorse ambientali e culturali delnterritorio.

L’acqua è uno degli elementi fondamentali del Cilento. Lo ènquella dei torrenti che sgorgano dai Monti Alburni, e che nelle attuali grottenavevano gli antichi letti; lo è quella delle guizzanti cascate e del Sele, lancui foce ti accoglie arrivando in macchina dalla Basilicata. E lo è quella delnmare. Il mare più bello d’Italia nel 2019, con le cinque vele assegnate da Legambientene Touring club italiano, tra gli altri, a Castellabate (dove “Non sinmuore”, come disse Gioacchino Murat) e Pollica.

Una freschezza e una purezza che puoi sentire al tatto,nmentre ne sfiori la superficie allontanandoti dalla riva finché, pian piano, intuoi piedi non toccano più terra e tutto intorno a te è solo azzurro. Liquido engassoso.

Ma c’è un altro elemento di cui non si può fare a meno. È il suolo.nDalla sabbia alla roccia, passando per tutta una serie di consistenze, dincolori, di fertilità. In Cilento, al suolo, hanno persino dedicato un interonmuseo. Un viaggio multimediale ed esperienziale tutto da scoprire, leggere,nguardare, toccare. Appunto.

Tutto da toccare è anche un altro museo, che in realtà nencomprende due e ben sintetizza il connubio imprescindibile che in questi luoghinc’è tra acqua e terraferma, tra prodotti d’eccellenza del mare e del suolo.nSono il Museo vivo del mare («un ossimoro» che poi, a conoscerlo bene,ntanto antitetico non è) e della dieta mediterranea, ospitati entrambi anPioppi, borgo di circa 200 abitanti nel Comune di Pollica, nello storiconpalazzo Vinciprova, che fu del garibaldino Leonino, la cui “giubba rossa” sinconserva ancora in una teca all’ingresso. Vi si possono tenere in mano, con landovuta delicatezza, ricci e cetrioli di mare; ma anche sgranare alla ciecanlegumi con le dita per capire se si tratta di ceci o lenticchie. E sì, perchénfu proprio qui che Ancel Keys teorizzò la bontà (in tutti i sensi) dellandieta mediterranea. Nei locali al primo piano, arredati con soli cinquemilaneuro dai ragazzi di Legambiente, ente gestore della struttura, ènpossibile visitare anche lo studio del biologo statunitense, sfogliare i suoinlibri, sfiorare i tasti della sua macchina da scrivere. Fuori dalle stanze endai corridoi, una spettacolare terrazza a picco sul mare.

E la dieta mediterranea offre un assist imperdibile pernsperimentare in pieno un altro senso, il gusto. È questa la terra dellanmozzarella per eccellenza, dove il latte di bufala, insieme all’olionextravergine d’oliva, viene usato anche per la cura della pelle, oltre che pernrealizzare, rigorosamente a mano, delle bontà che non possono esserenraccontate, ma solo assaggiate. Se non avidamente divorate. Come i prodottindella Tenuta Vannulo di Antonio Palmieri, figlio e nipote dinallevatori, imprenditore visionario, che sveglia al mattino le sue 700 bufalencon la musica classica e ha insegnato loro a stare in fila e a mungersi da sole,ncon tanto di microchip e tornelli. Roba che a scriverla non ci si crede.

Ma il Cilento è anche La cesta della biodiversità,nun’idea di Rosa Pepe, agronomo e agricoltrice, e di tanti altri ragazzine ragazze che hanno deciso di tornare al lavoro della terra, ma con piùnconsapevolezza e preparazione rispetto al passato. Oggi, quel passato in cui lendonne si mettevano la cesta in testa e andavano al mercato a vendere i loronprodotti per sostentare la famiglia e mandare i figli a scuola è diventato unnmarchio di qualità in cui «metterci la faccia», oltre che il cuore. Ne fannonparte vino, olio, pasta, salsa di pomodoro, legumi e soprattutto i celeberrimincarciofi bianchi di Pertosa.

E come assaggiare questo ben di Dio senza prima assaporarnenl’odore con l’olfatto? Sentori di buon cibo che si mischiano, nellanbrezza delle sere estive, al profumo insistente dei candidi gelsomini. L’afrorendei pascoli mitigato dall’erba bagnata dagli impianti di irrigazione, con cui inplacidi campi coltivati prendono vita. I fiori del roseto più grandend’Europa, quello di villa Matarazzo a Santa Maria di Castellabate, dinproprietà del “Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni” e ilndelicato aroma dei carati, i frutti della carruba, da secoli utilizzati come unitàndi misura per l’oro e i diamanti perché la natura li ha voluti tutti identicinfra loro.

Manca l’udito, direte voi. Beh, se non vi bastano lonscrosciare delle onde, il fruscìo delle foglie, il cinguettìo degli uccelli enil frinire di grilli e cicale, quello che dovete ascoltare sono le storie dinquesti luoghi, narrate con amore, anzi, con vera e propria passione, daglinuomini e dalle donne che li abitano.

Come quella dell’imponente Certosa di Padula, dedicata anSan Lorenzo, arso vivo sulla graticola, diventata poi il simbolo dell’edificio.nEdificio magnificente e ricchissimo fin dal viale d’ingresso, perché ospitava infigli cadetti delle migliori famiglie, ognuno con la sua sostanziosa dote; ma trangli anni ’30 e ’50 del secolo scorso ha anche istruito e insegnato un mestierena tantissimi orfani di guerra.

O la vita di Joe Petrosino, poliziotto e pioniere dellanlotta al crimine organizzato, ucciso a Palermo nel 1909 dalla mafia e ancoranoggi orgoglio della comunità d’origine, che ne ha trasformato la casa natìa innmuseo.

O ancora, per ritornare idealmente da dove siamo partiti, ilncurioso ed eccezionale ritrovamento dei resti di un tempio “mignon” durante lonsradicamento delle erbacce per le opere di restauro delle mura del sitonarcheologico di Paestum. A raccontarlo è il giovane direttore tedesco GabrielnZuchtriegel, con gli occhi che gli brillano per la gioia della scoperta.nUna scoperta che, insieme al resto, ha deciso di rendere pubblica, aprendo pernesempio ogni pomeriggio i depositi ai visitatori. «I grandi musei – dice –ntentano di dominare la storia, di darle un senso. Noi abbiamo una visionendiversa, che parte dal basso e vuole fare un altro racconto: è quello dellendonne, degli schiavi, dei bambini…».

E se anche la freddezza teutonica si è lasciata ammaliare dalnsuo «amore per il Sud, terra del desiderio», vuol dire che la storia infinita racchiusanin ogni ciottolo calpestato, in ogni capitello, in ogni goccia che erode lanpietra, vi lascerà senza fiato.

giovedì 27 Giugno 2019

(modifica il 21 Luglio 2022, 17:28)

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Carolina Di Filippo
Carolina Di Filippo
4 anni fa

Complimenti per questo bellissimo ritratto del Cilento!