74° anniversario della Liberazione

Nunzio Strippoli, il partigiano ucciso a 18 anni in uno scontro a fuoco con i tedeschi

Pasquale Tandoi
Il battaglione partigiano “Nunzio Strippoli” a Biella nel giorno della Liberazione
La storia d'amore e di lotta per la libertà del giovane coratino morto il 13 marzo del ‘44
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La tragica ed eroica vicenda dei coratini Alfonso e Nunzio Strippoli si inquadra in un contesto fatto di emigrazione, lavoro in fabbrica, impegno politico e lotta partigiana.

Nunzio Strippoli era figlio di genitori coratini. Il padre Luigi e la madre Giuseppina Lops erano emigrati a Tollegno nel Biellese nei primi anni Venti con il piccolo figlio primogenito, Cataldo, nato a Corato nel 1920.

Come tanti altri concittadini avevano lasciato la terra natia alla ricerca di un avvenire migliore. Il regime fascista non consentiva più l’espatrio, per cui l’emigrazione avveniva soprattutto verso il nord industrializzato. Luigi e Giuseppina scelsero il Biellese, dove avevano trovato lavoro tanti altri coratini. Da secoli quell’area era uno dei centri più fiorenti dell’industria tessile-laniera d’Italia. Luigi faceva il muratore, mentre Giuseppina era operaia.

A Tollegno nacque Nunzio il 27-12-1925 [1]. Cominciò a lavorare, come suo fratello Cataldo, già all’età di quindici anni come operaio “attaccafili” alla Filatura [2] di Tollegno (Bi). Qui conobbe Nella Pastorello. Nata in provincia di Padova nel 1923 da poveri genitori, nel 1938 si era trasferita a Biella per lavorare come domestica. Allo scoppio della guerra era entrata in fabbrica come operaia.

I due giovani simpatizzarono subito, erano intelligenti e svegli, amavano la vita ed avevano una comune passione, il teatro, che li portò a far parte di una compagnia amatoriale filodrammatica.

Dopo l’8 settembre, aderirono insieme alla lotta partigiana. Chi li conobbe afferma che erano tanto innamorati, allegri, pieni di vita, scherzavano e facevano divertire i compagni con le loro scenette farsesche nelle lunghe sere nelle baite sui monti.

Nell’area di Biella il partito comunista, già l’11 settembre ‘43, aveva predisposto un piano di resistenza armata che prevedeva la suddivisione del territorio in dieci settori affidati ad altrettanti comandanti e commissari politici. A fine ottobre si ebbero i primi duri scontri. Tedeschi e fascisti, tra il 31 ottobre e il 13 novembre, attaccarono e dispersero gruppi di banditen. La consistenza della forza partigiana, dopo queste azioni militari, si aggirava attorno agli 80-100 uomini.

Fu allora che tra quei “ribelli” entrò a far parte Nunzio Strippoli. La sua adesione alla lotta partigiana ebbe inizio il 15 novembre del 1943 con il nome di battaglia Talpa.Aveva 18 anni.E con lui Nella.

Il mese di dicembre fu caratterizzato da una crescente attività militare dei distaccamenti partigiani che si impegnarono a sostenere gli scioperi che erano stati organizzati negli stabilimenti intorno a Biella.

Informato dello sciopero, il capo “repubblichino” della provincia, Morsero, si affrettò a chiedere l’aiuto di reparti fascisti a rinforzo di quelli tedeschi operanti a Biella</strong>; e anche il comandante tedesco della piazza di Vercelli inviò nella città laniera numerose truppe.

L’uccisione di tre soldati germanici scatenò la violenta reazione nazista. I provvedimenti di polizia adottati in città dal comando militare tedesco furono durissimi: il coprifuoco venne fissato dalle 17 alle 6 del mattino; fu imposta la chiusura di tutti gli esercizi pubblici e di tutti i negozi in genere (solo gli alimentari avrebbero potuto riaprire nella giornata del 23 dicembre); l’ingresso in città fu consentito ad una sola persona per volta</strong>; furono presi degli ostaggi, con la minaccia di fucilarli se i disordini fossero continuati; fu sospesa la circolazione delle tramvie, delle Ferrovie e di qualunque altro veicolo, incluse le biciclette.

La mattina del 22 dicembre sette ostaggi furono condotti in piazza San Cassiano e fucilati. Sempre il 22 i tedeschi si recarono a Tollegno, dove fucilarono altre quattro persone: tra questi, Alfonso Strippoli, di 15 anni. Alfonso Strippoli, figlio dei coratini Cataldo e Lucia Mangione, era nato a Pralungo (Bi) il 2 maggio 1928, e risiedeva a Tollegno. Era verosimilmente imparentato con Nunzio.

La spedizione punitiva terminò il 23 dicembre a Vallemosso: i soldati tedeschi rastrellarono meticolosamente il centro abitato, fermando, tra gli altri, tre operai in sciopero che furono immediatamente fucilati. A Cossato, infine, due operai, accusati di detenere in casa delle armi, furono fucilati sulla piazza del paese.

Due partigiani coratini ad un corso di formazione politica comunista

In gennaio il comitato federale biellese del Partito Comunista organizzò due corsi politici rapidi, tendenti ad elevare il livello politico dei giovani partigiani, in vista di un possibile loro avanzamento a funzioni di Commissario Politico o Comandante di Reparto. I corsi si tennero in montagna e precisamente al rifugio alpino “C”, nei pressi del Distaccamento “Fratelli Bandiera”,

Al secondo corso, i primi giorni di febbraio, vi erano diciotto partecipanti, tra i quali due coratini: Nunzio Strippoli e Felice Masciavè, nome di battaglia Falchet, entrambi del Distaccamento “Fratelli Bandiera”. Felice Masciavè era nato a Corato nel 1920 e pure lui era operaio tessile. Era diventato partigiano nello stesso giorno di Nunzio. Falchet, ferito in un’azione, fu presente soltanto ad una giornata degli incontri previsti.

Il relatore del corso di formazione politica espresse alla fine delle valutazioni scritte sui vari “corsisti”. Nelle note riguardanti Nunzio Strippoli si diceva che, dopo il 25 luglio ’43, aveva avuto occasione di incontrarsi con i comunisti di Tollegno tornati dal carcere e da questi aveva appreso le prime nozioni sul comunismo. Era definito “giovane sensibile, serio e volenteroso”.

Quanto a Falchet (Felice Masciavé) si riteneva che avesse tutte le qualità per frequentare con profitto un corso di educazione politica, perché era “intelligente, serio e volenteroso e poteva essere avviato ad avanzamento sia politico che militare”.

Il commissario politico del corso aveva visto giusto su Felice Masciavè. Un paio di mesi dopo il partigiano coratino venne nominato vicecommissario di distaccamento, poi dal 20 settembre 1944 sino alla Liberazione fu commissario di guerra.

L’eccidio di Rassa e l’uccisione di Nunzio Strippoli e Nella Pastorello

Ai primi di marzo del 1944 in Valsesia, provincia di Vercelli, vi erano circa 1500 soldati tedeschi armati fino ai denti impegnati in azioni di rastrellamento insieme a reparti fascisti. Nella zona erano acquartierati alcuni distaccamenti di partigiani, circa 400 in tutto, tra l’altro dotati di poche armi e pochissime munizioni. Pertanto fu ritenuto necessario ritirarsi sui monti.

“Alle 4 del mattino di lunedì 13 marzo i partigiani garibaldini, che avevano trascorso la notte nelle provvidenziali baite della Piana, erano già in piedi. Il tragitto per raggiungere Montesinaro era ancora lungo e le difficoltà da superare non poche. Essi non avevano riposato molto ma la stanchezza era stata in parte smaltita; non avevano da mangiare ma si erano riscaldati ed asciugati davanti al grande fuoco acceso nel casolare.

Si riformò la colonna e, con una luna piena che illuminava a giorno un mondo di neve, si riprese a salire. I partigiani, che a turno si alternavano alla testa della colonna, affondavano nella neve fino alla cintola, ma passo dopo passo ed aiutandosi come potevano, si avvicinarono sempre più, seguiti dai loro compagni, al crinale dal quale si spazia nella val Sorba. Alle 8 raggiunsero la dorsale.

I partigiani presero fiato e guardarono seicento metri più in basso dove scorre il torrente Sorba. Lentamente e con circospezione per evitare le insidie della montagna, essi iniziarono la discesa che si concluse verso le 9.30. Qui la colonna si divise: una trentina di garibaldini – quelli bagnatissimi che si erano alternati nel battere la pista – si fermarono nella baita dell’Alpe per accendere il fuoco ed asciugarsi un po’, gli altri proseguirono. Tutto sembrava andare secondo il piano prestabilito, ed anche il tiepido sole che preannunciava la primavera e temperava l’aria fredda e pungente diede forza ai partigiani, che si sentirono più vicini al Biellese, ai loro paesi, alle persone che vi abitavano e che conoscevano.

Improvvisamente raffiche di armi automatiche, di Maschinengewehr (la terribile “sega d’Hitler”), colpi di fucile e di tac-pun dei Mauser di precisione, rintronarono nella vallata.

Erano i nazifascisti i quali, risalendo la val Sorba e seguendo le impronte dei partigiani lasciate nella neve, giunti a ridosso della colonna, cercavano con quell’attacco di annientare i garibaldini biellesi.

Colti di sorpresa, gli armati, che si stavano asciugando, ebbero il loro da fare per uscire dall’unica porta della baita e non furono in grado di opporre resistenza. Ai disarmati non restò che cercare scampo nel percorrere il più velocemente possibile la mulattiera innevata che avevano dinanzi. Ma i nazifascisti adeguatamente equipaggiati ed invisibili continuavano a guadagnare terreno e raggiunta una posizione favorevole, con delle mitragliatrici, cominciarono a battere un passaggio obbligato su un ripido e gelato canalone. I primi partigiani cominciarono a cadere.

La situazione per i garibaldini che dovevano compiere tratti allo scoperto sotto una incessante gragnuola di colpi si fece più drammatica: alcuni, spossati e feriti, vennero catturati, il sangue dei colpiti continuava ad arrossare la spessa coltre di neve. Tutto sembrava perduto, ma un piccolo dosso offrì la possibilità di opporre una estrema resistenza”.[3]

Nunzio Strippoli e pochi altri partigiani si assunsero il compito di fermare i tedeschi per consentire la ritirata a tutti gli altri. Nella volle restare con il suo Nunzio. Da quella improvvisata postazione i partigiani spararono tutti i colpi dei loro fucili e il solo caricatore del mitragliatore. L’inattesa reazione durata pochi minuti fu sufficiente per contenere temporaneamente l’azione dei nazifascisti. L’attenuata pressione consentì a numerosi partigiani di distanziarsi dagli assalitori, evitare la cattura e mettersi in salvo. Nunzio e gli uomini che rimasero con lui, quando furono sicuri che i compagni erano in salvo, si sganciarono dal combattimento, ma presero il sentiero sbagliato e si esposero alla reazione del nemico.

Nunzio combatté fino a quando non fu colpito a morte. Nella, che gli fu vicina fino alla fine, fu catturata con altri dieci partigiani.

Anello Poma [4] scrisse di Nunzio: “Dietro il suo volto buono di adolescente nascondeva una convinta determinazione. Quei ragazzi come Nunzio Strippoli del distaccamento “Bandiera” fecero prodigi proprio a Rassa dove misero a fuoco tutto il loro lavoro di formazione politico-militare”.

Gli undici partigiani catturati furono trascinati a Rassa e lì sottoposti ad interrogatorio da parte del comandante tedesco coadiuvato da un miliziano “repubblichino” che faceva da interprete.

Nella Pastorello, nel corso dell’interrogatorio, disse di essere incinta e implorò che le risparmiassero l’atroce condanna che l’attendeva: la fucilazione. Ma il suo aguzzino fu implacabile e, insieme agli altri prigionieri, fu condotta al piccolo cimitero di Rassa dove fu fucilata.

Sulla fucilazione, avvenuta il pomeriggio di quello stesso giorno, il parroco don Alfio Cristina ricordò:

Allora li hanno presi, li hanno incolonnati e con i loro soldati li hanno portati vicini al cimitero. Il comandante mi ha obbligato ad andare ad assistere alla fucilazione. Mi ricordo che ha messo lì il plotone e questi ragazzi là, con questa ragazza [Nella Pastorello], tutti già al muro.

Qualcuno aveva delle fasciature alle mani, ai piedi. Si vede che quando li hanno presi li han bastonati, li han picchiati, Non ho potuto parlare con nessuno di loro. Poi con il plotone di esecuzione li hanno ammazzati. Penso che il plotone di esecuzione sia stato misto, però chi comandava, chi ha dato l’ordine era questo interprete che si chiamava Guido, mi pare che fosse un ragioniere che faceva da interprete e comandava i fascisti che erano con i tedeschi. Poi ho visto uno che è andato lì con la rivoltella e ha dato il colpo di grazia a tutti. Non è che avessero paura i fucilati di Rassa. Io – pensandoci dopo – non so se avrei avuto il coraggio di stare lì ad aspettare, non so se non sarei caduto prima mezzo morto dalla paura. Niente: si sono comportati veramente bene.

A Nunzio Strippoli fu poco dopo intitolato un battaglione partigiano.

(Tratto dal libro di prossima pubblicazione: PASQUALE TANDOI, Uomini e donne di Corato nella Resistenza).


[1] L’Archivio Storico della Resistenza in Piemonte indica, invece, in Corato il luogo di nascita.

[2] Nel 1908 era nato il famoso marchio Lana Gatto; nel 1925 a Tollegno fu costruito un nuovo grande edificio; gli operai superarono allora il numero di 1.700 ed ebbe inizio una fase di grande sviluppo con una produzione di notevole qualità.

[3] LUIGI MORANINO, Il primo inverno dei partigiani biellesi. Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli “Cino Moscatelli”. 2010 Varallo,

[4] ANELLO POMA, Parliamo dei primi distaccamenti garibaldini biellesi: il “Fratelli Bandiera”. In L’Impegno, a. III, nr. 2, 1983. Poma, biellese, operaio tessile. Fu commissario politico del distaccamento dei garibaldini del Biellese.

giovedì 25 Aprile 2019

(modifica il 21 Luglio 2022, 21:03)

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salvatore di gennaro
salvatore di gennaro
5 anni fa

Toccante il racconto finale su Nella Pastorello. Poteva essere risparmiata, portata via dai fascisti, magari con la scusa di darle una “lezione particolare”. Ma la guerra ottenebra tutte le menti e le tutte coscienze. Inoltre, si sa, il risultato finale favorevole giustifica poi ogni atto, ogni tattica dei vincitori, e condanna ogni giustificazione degli sconfitti, né, col tempo, viene permessa ad alcuno qualunque rivisitazione storica degli avvenimenti. Ma in guerra ci si comporta tutti allo stesso modo: non esistono, in quel caso, popoli migliori degli altri.