Cronaca

Bertolino: «Gli avvocati non sono un intralcio alla giustizia»

La Redazione
Tullio Bertolino
Le parole del Presidente dell'Ordine degli avvocati di Trani nel dibattito sulla riforma della prescrizione
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«Il Processo non può essere considerato una inutile perdita di tempo, un fastidio per chi ritiene di aver già assolto a tutti i compiti che la “Giustizia” richiede per essere esercitata. Bisogna che si torni ad avere rispetto del ruolo degli avvocati che non inventano solo artifizi dilatori per far sfuggire i propri assistiti alle maglie della giustizia, ma che invece prestano il loro servizio non solo a garanzia degli imputati, ma anche dello stesso ordinamento giudiziario».

Le recenti affermazioni pubbliche, riportate dalla stampa nazionale in questi giorni, di Piercamillo Davigo, Presidente della II Sezione Penale presso la Corte Suprema di Cassazione e membro togato del Consiglio superiore della magistratura, hanno provocato la reazione immediata del Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Trani, Tullio Bertolino, a nome dell’intera classe forense di un tribunale piccolo come quello di Trani che, però, vanta una storia di oltre 800 anni alle spalle. Storia che non può essere calpestata da chi fa affermazioni che riducono il ruolo di avvocato a semplice “Azzeccagarbugli” di manzoniana memoria, nel tentativo disperato di mettere i bastoni tra le ruote a magistrati che pretendono di emettere le proprie sentenze senza neanche dover aprire i processi.

Alla base del contendere, ovviamente, la riforma della prescrizione che vede su barricate opposte parte del mondo politico, pezzi di magistratura e l’avvocatura. Un contrasto che sembra insanabile perché rappresenta diverse visioni del mondo della giustizia.

«Senza gli avvocati – riprende Bertolino -, non esiste Giustizia. Non sono sufficienti inchieste condotte magistralmente o magistrati inquirenti capaci, competenti e al di sopra di ogni sospetto. Servono anche gli avvocati che sono portatori degli interessi dei singoli imputati, ma anche dei cittadini in senso lato. E servono soprattutto i processi, che sono il luogo dove si formano le prove e dove accusa e difesa si fronteggiano nel perimetro loro concesso dalle leggi.

Troppe volte stiamo ascoltando frasi del tipo: “Occorrono filtri alle impugnazioni per eliminare quelle dilatorie e pretestuose, fatte solo per perdere tempo”; “bisogna introdurre la possibilità di riformare in peggio le sentenze “; “Basterebbe consentire al giudice di valutare anche le impugnazioni meramente dilatorie per aumentare la pena”; “Se il condannato si oppone, si va a processo e alla fine, anziché la multa, può arrivare la reclusione. Se impugni, lo fai a tuo rischio e pericolo”. Sono espressioni sintomatiche di una distorta visione del processo, nel quale l’avvocato ha una funzione di puro intralcio e non di un garante del diritto Costituzionalmente garantito alla migliore difesa possibile del cittadino».

«Quanto poi all’ipotesi che un avvocato risponda economicamente in solido con il proprio cliente – rimarca il Presidente Bertolino – vorrei replicare con una provocazione: e se la riforma della sentenza di primo grado va a favore dell’imputato, sarà il Pm a pagarne personalmente le spese processuali?».

«Come avvocatura siamo impegnati – conclude il Presidente Bertolino – a far comprendere quanto possa essere pericolosa l’esistenza di processi eterni in cui chi abbia la disavventura di finire al centro di una inchiesta resti prigioniero di essa per sempre. Lo Stato non può pensare di sopperire alla propria incapacità di celebrare processi in tempi ragionevoli, semplicemente azzerando i diritti dei cittadini. Una sentenza anche giusta somministrata in ritardo è già una ingiustizia. Figuriamoci cosa sono quelle sentenze che non saranno mai pronunciate, ma resteranno sempre in attesa di verdetto. Una ingiustizia insopportabile per tutti: per le vittime, per gli imputati, per gli avvocati ed anche per gli stessi magistrati».

venerdì 10 Gennaio 2020

(modifica il 21 Luglio 2022, 8:31)

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salvatore di gennaro
salvatore di gennaro
4 anni fa

Commento di parte, e quindi non del tutto esaustivo. Non si suggerisce infatti come combattere la lunghezza dei processi, il complicato e contrastato iter delle leggi, la loro esagerata proliferazione nel tempo e del numero assurdo degli stessi avvocati, commisurato al nostro altissimo ed immorale livello di litigiosità ed illegalità. Poi si parla di “diritti dei cittadini”: e dei doveri? Quelli cioè di fare in modo da considerare lo Stato come un'entità da proteggere e non da sfruttare e i compatrioti persone con le quali condividere il destino, e non fessi da turlupinare o nemici da combattere. Comunque è innegabile che in Italia, avvezza all'andazzo e non allo spedire deciso, ogni mutamento del pigro “status quo” che si affaccia all'orizzonte, sia visto sempre come un trauma sociale.