La sentenza

Strada tra via Santa Maria e la 231, vicenda riaperta: dopo 9 anni accolto il ricorso di D’Introno

La Redazione
L'azienda D'Introno srl
Il Consiglio di Stato ribalta la decisione del Tar, dà ragione all'azienda D'Introno srl e riapre la questione della strada da realizzare tra via Santa Maria e la complanare della 231
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Dopo quasi 9 anni il Consiglio di Stato ribalta la decisione del Tar, dà ragione all'azienda D'Introno e riapre la questione della strada da realizzare tra via Santa Maria e la complanare della 231.

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La vicenda iniziò nel 1997, quando la D'Introno srl presentò al Comune un progetto per la realizzazione di due capannoni industriali, con contestuale variante al piano regolatore generale. Il progetto venne approvato dal consiglio comunale con l’onere di realizzare, a spese della stessa azienda, una strada di collegamento tra via Santa Maria e la complanare della provinciale 231 che, di fatto, avrebbe tagliato in due la proprietà della srl.

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La società non realizzò la strada, sostenendo che «non si potesse più costruire perché le sopravvenute norme stradali non ne avrebbero consentito la realizzazione come da tracciato del piano regolatore, in quanto le intersezioni da realizzarsi sarebbero risultate pericolose» e chiese il riesame della prescrizione che si concluse con un provvedimento di diniego del dirigente comunale di Settore. A causa della mancata realizzazione della strada, il Comune negò all'azienda anche il certificato di agibilità dei capannoni nel frattempo costruiti.

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Contro questo rifiuto, la D'Introno srl propose ricorso al Tar che però i giudici respinsero nel 2012. Il tribunale precisò che «l’ostacolo normativo denunciato potrebbe essere agevolmente superato modificando lievemente il tracciato della strada; rendendola, invece che rettilinea, leggermente arcuata in tutta la sua lunghezza, in modo tale da consentire un’intersezione a norma».

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Quanto alla negata agibilità, nel ricorso l'azienda D'Introno precisò che «il Comune avrebbe omesso di considerare che i capannoni sono in realtà perfettamente conformi al titolo edilizio», ma il Tar ritenne «condivisibile la posizione che aderisce al necessario rispetto delle prescrizioni edilizie per ottenere il certificato di agibilità». Quindi niente strada, niente agibilità.

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Con la sentenza pubblicata nei giorni scorsi, invece, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione seconda) ha accolto l’appello proposto dall'azienda D'Introno srl (difesa dagli avvocati Agostino Meale e Domenico Tandoi) e ha ribaltato la decisione del tribunale amministrativo regionale, annullando gli atti impugnati.

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Secondo i giudici, il Tar non poteva sostituirsi al consiglio comunale in merito a come dovesse essere realizzata la strada. «Il Tar […] – scrive il Consiglio di Stato – ha concluso per il rigetto del ricorso avverso la suddetta nota dirigenziale, avendo considerato che, sia pur con una maggior onerosità, la strada avrebbe potuto essere realizzata “modificando lievemente il tracciato della strada”, come evidenziato dal supplemento della CTU. Tale percorso motivazionale seguito dal Tar pare al Collegio non condivisibile. […] La scelta di individuare un tracciato alternativo della strada in questione sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio […] pare sostanziare una sostituzione del primo giudice alle discrezionali valutazioni chieste al Consiglio comunale con l’istanza di riesame della prescrizione della lett. f) della deliberazione n. 41/1997.  […] La conclusione cui è pervenuto il Tar, non corrispondente alla domanda attorea, impinge nel merito delle possibili scelte dell’Amministrazione, oltre ad incidere su quelle già assunte con la variante urbanistica approvata con la citata delibera consiliare n. 41/1997».

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In più, scrivono ancora i giudici, «la realizzazione della strada di cui alla lett. f) della delibera consiliare n. 41/1997 non sostanziava una condizione per il rilascio del certificato di agibilità, come reso palese dalla formulazione di tale lettera, a differenza di quanto stabilito dalle lettere precedenti».

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Nell'ambito della stessa sentenza, il Comune di Corato è stato condannato «alla rifusione, in favore della parte appellante, delle spese processuali del secondo grado del giudizio, liquidate in complessivi euro 4.000, oltre alle maggiorazioni di legge, se dovute».

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«Da questa sentenza si evince quanto sia stata disinvolta la condotta tecnica dell'ente comunale, forse troppo condizionata dall'indirizzo politico» afferma l'avvocato Domenico Tandoi. «Il primo rammarico riguarda la lunghezza del processo: oltre otto anni per una sentenza sono troppi e una giustizia che arriva così tardi rischia di non essere più giustizia. Alla fine l'esito è comunque soddisfacente e risolve l'annosa questione dell'agibilità. Ora si aprirà certamente una interlocuzione con il Comune per capire dove e come realizzare la strada».

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Oltre alla causa civile, negli anni scorsi la vicenda ha avuto anche risvolti penali. Nel dicembre 2010 la Corte d'Appello di Bari assolse infatti gli imputati Domenico D’Introno (proprietario dell’immobile), Francesca Ioppolo, Cataldo Amorese, gli ingegneri Benedetto D’Introno, Vito Rocco Gagliardi, Gennaro Casciello e il geometra Benedetto Roselli dall'accusa di aver costruito a ridosso della ex statale 98 due capannoni commerciali in violazione del piano regolatore generale del Comune.

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venerdì 5 Marzo 2021

(modifica il 3 Agosto 2022, 10:31)

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franco
franco
3 anni fa

adesso diamoci un taglio alla questione sia da parte d'introno che del comune….dobbiamo pagare anche le spese legali…DOBBIAMO NOI CITTADINI..quindi basta!