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Nonno Domenico, ma non solo: lingue e culture si incontrano al Centro per l’istruzione degli adulti

La Redazione
Lingue e culture si incontrano al CPIA
Il CPIA, il Centro per l'istruzione degli adulti di Bari ha sede anche a Corato, presso la scuola media De Gasperi. Qui, l'anno scorso, il coratino nonno Domenico ha preso la licenza media all'età di 83 anni
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La scuola pubblica offre una seconda opportunità a chi vuole ricominciare a studiare e diplomarsi prendendo la licenza media con la frequenza di un solo anno scolastico.

È la missione del CPIA, il Centro per l’istruzione degli adulti di Bari – guidata dal dirigente professor Piliero – che ha sedi sparse nelle scuole medie di Bari, Bitonto, Molfetta, Corato (presso la scuola media De Gasperi) e Terlizzi. Nonostante questa sigla un po’ anonima, il CPIA è semplicemente una parte della scuola pubblica italiana, che esiste anche per gli adulti intenzionati a tornare tra i banchi di scuola per conseguire la licenza media, per prendere un diploma o per gli stranieri che vogliono imparare la lingua italiana.

È qui che, l’anno scorso, nonno Domenico ha preso la licenza media all’età di 83 anni, mostrando una volontà fuori dal comune. Significative, a questo proposito, sono alcune testimonianze dirette di questa esperienza raccontate da docenti e studenti.

«Accanto alla Basilica di San Nicola, sul lato della porta d’Oriente, in un’aula scolastica convivono, e non è una barzelletta, un architetto di Istanbul, una ragazza alla pari di Francoforte, una mamma pakistana che ha raggiunto qui suo marito e alcuni giovani africani e asiatici», racconta Luigi Gramegna, docente del CPIA di Bari, il Centro Provinciale per l’Istruzione degli adulti, dove insegna italiano per stranieri.

«Che faccio? Da dove inizio? Oddio non mi capisce. Provo con l’inglese. E niente solo arabo, qualche volta. O magari solo hindi o mandingo o curdo… e magari solo parlato, Amadou non sa scrivere perché erano in guerra nel suo paese e non è mai andato a scuola. Alla fine, quando qualcuno di loro non mi capisce proprio, rimangono comunque gli occhi, i gesti, il corpo. Invece Jean Marie parla fluentemente 5 lingue tra cui l’inglese e il francese e due dialetti africani. In questa classe c’è la voglia e soprattutto il bisogno di comunicare, prima ancora di quello di integrarsi. Capire le parole e poi capire perché è qui, accanto a me ad imparare una lingua. Questo è per me insegnare al CPIA. A volte facciamo lezione senza libri e con spazi non sempre adeguati e spesso in prestito, ci si sente un po’ migranti anche noi. Tanta impotenza a volte per la carenza delle risorse, carenza di materiali s’intenda, che di risorse umane invece c’è grande ricchezza».

«Per me è la scuola più bella del mondo» spiega invece Donatella Azzollini, anche lei docente alfabetizzatrice presso la sede del Cpia di Molfetta. «Lavorare al Cpia significa andare a spasso per il mondo e non solo per la provenienza geografica degli alunni e delle alunne: Asia, Africa, America ed Europa (manca solo l’Oceania). Già soltanto per questo, per i racconti e le piccole e grandissime biografie dei nostri studenti non si finisce mai di stupirsi e imparare. Ma c’è un altro aspetto che per me è motivo di grande fascino: la promiscuità oltre che geografica è sociale. Accanto alla studentessa in Erasmus della buona borghesia belga, c’è la studentessa nigeriana che ha attraversato la Libia e l’inferno. Le due si scambiano i numeri di telefono e diventano amiche. Altra ragione è legata alla lingua. Insegnare italiano agli stranieri mi ha permesso di innamorarmi ancora di più della lingua italiana che nell’ interlingua degli alunni stranieri diventa impura, alle volte buffa, nuova. E si abbandona tutto quello snobismo sull’uso del congiuntivo e del da/dà e altre amenità. La poesia, per riprendere una splendida espressione di Troisi, è di chi gli serve, non di chi la scrive».

Il CPIA non è solo italiano per stranieri, ma anche italiano per italiani e poi matematica, scienze, inglese, francese, tedesco e tecnologia cioè le materie che i corsisti studiano per il titolo di scuola media.

Mariangela Taccogna è una professoressa della scuola per gli adulti in una sede particolare, quella del carcere di Bari. «Per me insegnare ai detenuti vuol dire rendere concreta l’espressione “nessuno resti indietro”, valorizzare esperienze e vissuti, potenziare le capacità di ognuno, scambiare e condividere storie, arricchendosi reciprocamente. Per me vuol dire sognare un mondo migliore e iniziare con il primo passo».

Tante le iniziative che i docenti del CPIA portano avanti nelle sedi carcerarie: laboratori di scrittura, allestimento di una ricca biblioteca, organizzazione cineforum, il tutto con tanta buona volontà in un luogo sovraffollato e spesso in affanno per carenze strutturali e di personale. Il CPIA è anche questo, un presidio per la cultura in un luogo dove serve ricominciare una vita diversa.

La professoressa di lettere Maria Pansini ci descrive la sua realtà. «In provincia il CPIA organizza corsi serali per i lavoratori stagionali, quei ragazzi africani o dell’Europa dell’est che raccolgono le olive, che lavorano nelle serre dei fiori, che vanno a lavorare e poi a farsi la doccia per arrivare a scuola stanchi ma in ordine e imparare, in alcuni casi per la prima volta, a leggere e scrivere. Ci sono anche tante donne che frequentano i nostri corsi, molte badanti che si ritagliano un paio d’ore libere nella loro infinita giornata lavorativa, oppure mogli marocchine e albanesi che raggiungono i loro mariti residenti da anni in Puglia. Sono donne istruite, spesso persino laureate, che accettano la sfida di ricostruirsi una vita in un paese sconosciuto e a scuola trovano un luogo accogliente dove socializzare. Tra i nostri studenti inoltre ci sono ragazzi italiani giovanissimi (il Cpia accetta iscrizioni dai 16 anni in su) che non sono riusciti a prendersi un titolo di studio nella scuola dell’obbligo e qui trovano la possibilità di rimettersi al passo e infine ragazzi non più giovani, come nonno Domenico che ha preso la licenza media all’età di 83 anni perché non si finisce mai di imparare».

«Qui imparo a conoscere la cultura italiana ma non solo, la scuola è una occasione per farsi nuovi amici» dice Halina, donna ucraina e studentessa del CPIA di Terlizzi. Alì, 40 anni, marocchino, aggiunge: «Questa scuola per me è una rivoluzione, studio e imparo cose nuove come la storia d’Italia e d’Europa». Red, suo compagno di classe, conclude: «Questa scuola mi permette di arricchire le mie conoscenze, di sentirmi inserito nella comunità che mi ospita ed è una opportunità da non perdere perché non si paga niente».

domenica 27 Settembre 2020

(modifica il 20 Luglio 2022, 20:50)

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