Coronavirus

Don Pasquale e l’isolamento al “Don Uva”: «Parlo ai malati col megafono, dal campo di calcio»

Marianna Lotito
Marianna Lotito
«Con il megafono
La realtà assistenziale biscegliese, da sola, conta 46 casi di pazienti positivi al Covid19. Per don Pasquale Quercia la quaresima si è "trasformata" in quarantena
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«Per 14 giorni ho celebrato la messa sul comodino della miancameretta, nella casa dei miei genitori. Nella preghiera ho riscoperto l’immensondono che il Signore mi ha fatto: continuare a servire i miei ammalati nell’Eucarestiandi ogni giorno».

Così che don Pasquale Quercia racconta una quaresima “trasformata”nin quarantena. Il giovane sacerdote coratino dal mese di ottobre 2019 è cappellano della Casa Divina Provvidenza e assistente spirituale degli IstitutinOspedalieri “Don Uva” di Bisceglie. La realtà assistenziale, da sola, conta 46 casi di pazientinpositivi al Covid19, come affermato dal sindaco Angarano.

Don Pasquale vive la sua vocazione stando quotidianamente al fianco degli ospiti e del personale sanitario. Eppure,nall’improvviso, qualcosa è cambiato.

«Quando è esploso il “caso Bisceglie” ho dovuto anche io viveren14 giorni di isolamento avendo avuto contatti diretti con ospiti e operatorindel “Don Uva”. Grazie a Dio ho trascorso la quarantena senza sintomi, il virusnnon mi ha colpito. Da un momento all’altro sono stato strappato alla mia vita dinogni giorno, al mio servizio. Mi sono ritrovato nella mia stanzetta dinadolescente a ripetermi una domanda: e adesso cosa faccio? Come mi metto anservizio dei miei malati? Diversamente dai miei confratelli che possono andarenavanti anche con le chat, le dirette e le chiamate, io per gli ospiti del “DonnUva” non posso affidarmi più di tanto alla tecnologia. Con loro tutta lancomunicazione si fonda sul far sentire la presenza fisica, la parola è l’abbraccio.

Mi sono affidato al Signore e ho fatto un’esperienza bellissima:nho capito che potevo celebrare la messa per loro, nella mia vecchia cameretta,nda solo. È stata una esperienza di gioia profonda, così mi sono rasserenato ensono arrivato fino al lunedì Santo. La domenica delle Palme la quarantena pernme è finita: devo dire che mi ha permesso di vivere l’essenziale, dinassaporarne la bellezza e la bontà».

Qual è la prima cosa che hai fatto nel primo giorno “di libertà”?n«Sono andato nella parrocchia di San Domenico e ho celebrato la messa con don Gino Tarantini». Forse il comodino,ndopo 14 giorni, si era fatto stretto. «No, non è semplicemente questo. Nella storiandella Chiesa ci sono i Santi che hanno celebrato la messa nelle carceri, quellenvere, avendo tra le mani poche briciole di pane e qualche goccia di vino. Io,nin confronto, mi trovavo in un albergo a cinque stelle. I miei confratelli minavevano fatto arrivare le ostie, il vino e tutto l’occorrente. Di fatto però la celebrazione eucaristica dona la bellezza dellancondivisione. Tornare a baciare un vero altare, condividerlo con un mionconfratello, è stato bellissimo. Poi, appena ho potuto, sono tornato anBisceglie».

Ed è iniziata una nuova avventura, piena di ingegno. «Esatto, hondovuto inventarmi ogni giorno un modo diverso per comunicare con i malati e connil personale sanitario senza poter fisicamente andare da loro. Per fortuna nonnc’è distanza che l’amore di Dio non possa coprire: una famiglia mi ha prestatonun megafono e, vincendo i primi timori, ho iniziato a girare da una palazzinanall’altra del “Don Uva”. Prego e benedico ogni reparto. I medici, gli infermieri,nle persone ricoverate, il personale della struttura; chi può si alza e sinaffaccia. Chi dalle finestre, chi dalle scale anti incendio. Mi commuove guardarli dietro le zanzariere ma, per ora, non possiamo farendiversamente. È l’unico modo che ho per essere presente, fisicamente “vicino”:nper loro è un gesto importante, che fa bene. Nonostante la distanza Gesù toccanogni cuore».

Le foto ti ritraggono anche in un campo di calcio con l’Eucarestianin mano. «Sì, ho celebrato una adorazione in quel terreno di gioco perché lì sinaffacciano le stanze di uno dei tanti reparti del “Don Uva”, quello di medicina fisica. Dopo lanmessa ogni giorno vado alla ricerca dei luoghi come quello, angoli in cui non creo disturbo purnrendendomi visibile ed ascoltabile».

E, intanto, è arrivata la Pasqua. «Sì, e io sono stato nella chiesandi San Giuseppe, luogo in cui è sepolto don Uva, cuore della realtànassistenziale che ha fondato. Domenica, nonostante fossi solo, ho voluto viverene rendere vivo quel posto. Ho aperto la chiesa, ho letto il Vangelo e con ilncuore mi sono sentito vicino a tutte per persone che sono nella struttura. Arriverà il momento in cui torneremo alla normalità, adessondobbiamo resistere e lasciare spazio a quell’amore ingegnoso che trova il modonper superare ogni distanza».

giovedì 16 Aprile 2020

(modifica il 21 Luglio 2022, 4:21)

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