L'intervista

Cataldo Musto al forum sull’intelligenza artificiale: «Ecco come internet sa quello che ci piace»

Francesco De Marinis
Francesco De Marinis
Cataldo Musto
Il ricercatore coratino da dieci anni studia il recommender system, uno dei grandi settori dell'intelligenza artificiale
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Vi siete mai chiesti come faccia Netflix a capire i vostri gusti cinematografici o come Amazon riesca a consigliare prodotti vicini alle vostre esigenze? Il segreto si chiama recommender system e da dieci anni è il soggetto di studio di Cataldo Musto, ricercatore coratino all’Università di Bari.

«Sono partito a quattro anni dal Commodore 64 regalatomi da mio padre. Dopo aver messo da parte questa grande passione ai tempi del liceo, l’ho recuperata all’università trasformandola in un lavoro». Dopo la laurea nel 2008 è arrivata la proposta di collaborazione dall’Università di Bari. Di lì il dottorato e la ricerca.

E, ieri, Cataldo è stato ospite dell’Ai Forum, organizzato dall’associazione italiana per l’intelligenza artificiale e orientato a creare una sinergia tra enti di ricerca e imprese.

Partiamo dalla base. Cos’è l’intelligenza artificiale?
L’intelligenza artificiale è un mondo molto vasto, che va dal termostato che controlla la temperatura delle nostre case fino alle auto che guidano da sole. Nell’immaginario collettivo la si associa alla robotica ma questo è il campo più estremo, in realtà la definizione migliore sarebbe: sistemi in grado di avere un comportamento adattivo autonomo e più o meno intelligente.

Come funziona?
Questi algoritmi vanno ad imitare il comportamento dell’uomo che assimila nozioni in base all’esperienza. Se ti faccio bere dieci spritz e dieci americani, imparerai a cogliere le differenze. Affinché gli algoritmi imparino a distinguere le cose ci deve essere qualcuno che glielo insegni e questo è l’uomo. Senza quello che noi chiamiamo “addestramento degli algoritmi” non puoi avere intelligenza artificiale.

Quanti progressi ha fatto la ricerca sul tema?
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’accelerazione notevole per due motivi. È aumentata la potenza di calcolo ed è aumentata la quantità di dati a disposizione. Smartphone, social, internet in generale. Trasmettiamo miliardi di informazioni e più dati abbiamo meglio è.

Veniamo al recommender system.
A Bari ce ne occupiamo da oltre dieci anni. L’obiettivo è riuscire a capire in anticipo i gusti e gli interessi degli utenti per indirizzarli verso una scelta. Il recommender system va a supporto dell’individuo che deve prendere decisioni. Una sorta di consiglio. Si può utilizzare in mille modi diversi. Nell’intrattenimento, nei social network ma anche in ambiti più delicati come quello finanziario o medico.

Funziona?
Ti faccio due esempi. Il 30-35% degli introiti di Amazon dipendono da un recommender system basato sulle scelte dei clienti, che forniscono esperienza all’algoritmo. L’utente X acquista un disco che hai acquistato anche tu. Che altri dischi ha acquistato l’utente X? E te li suggerisce. Il secondo caso è quello di Netflix, nato nel 2005 come noleggio video online in un mercato dominato da Blockbuster. Loro hanno investito subito sul recommender system e oggi sono leader mentre Blockbuster è morto. Questa tecnologia è sfruttata da tantissimi servizi che utilizziamo ogni giorno: Spotify, Youtube, Facebook, le news che leggiamo.

Su cosa lavorate nello specifico?
Cerchiamo di migliorare il sistema che già esiste e proviamo a risolvere le criticità che si presentano. Ad esempio: se hai visto tutti i film di Star Wars ha senso che ti proponga l’ultimo in uscita o è meglio che suggerisca qualcosa di diverso ma che potrebbe piacerti?

Un tema caldo è quello dei dati personali. Che opinione hai al riguardo?
I dati raccolti possono essere espliciti come gli acquisti che hai fatto su Amazon o impliciti, come la tua posizione Gps o i movimenti sul conto corrente. Io penso che la chiave di tutto sia la consapevolezza. Se tu sei consapevole che qualche azienda può prendere i tuoi dati e venderli, ti comporti di conseguenza e ti assumi le tue responsabilità. Se non voglio che questo accada, spengo il Gps e non mi iscrivo ai social. Però devo rinunciare anche alle comodità che questo sistema offre.

Hai parlato di una accelerazione dell’intelligenza artificiale. Andiamo verso quegli scenari distopici dove le macchine e l’uomo possono essere messi sullo stesso piano?
È uno scenario molto lontano. Oggi abbiamo sistemi superspecializzati in compiti specifici ma non ci sono tecnologie in grado di risolvere problemi come potrebbe farlo un essere umano. Prendi gli assistenti personali che vanno di moda in questo periodo. Loro utilizzano distintamente diverse tecnologie. Dopo aver attivato il riconoscimento vocale, attivano un sistema diverso e così via. Sono la somma di più sistemi.

Il 5G può rivoluzionare le nostre vite?
Può sicuramente amplificare e potenziare la tecnologia che già esiste e di conseguenza aprire più strade ma non può rendere le macchine più intelligenti.

Negli ultimi tre anni hai lavorato sulla profilazione degli utenti.
Sì, studio le domande che i sistemi devono fare per raccogliere dati. “Chi è Francesco? Cosa gli piace? Che umore ha?”. Ci sono tecniche di intelligenza artificiale per fare predizione dei tratti della personalità, anche attraverso quello che scrivi sui social. Tutti i post scritti in un anno possono darti informazioni sul carattere degli utenti, sempre che tu sia la stessa persona su Facebook e nella vita reale.

L’intelligenza artificiale riesce a cogliere il sarcasmo e l’ironia? Se scrivo in un post: “Che piatto delizioso” allegando una foto di una pizza con l’ananas, cosa percepisce l’algoritmo?
L’ironia spesso sì, ma il sarcasmo no. Il metodo è sempre quello, si insegna all’algoritmo cosa è sarcasmo e cosa non lo è, il problema è che le macchine sono molto brave a riconoscere quello che è oggettivo, lo sono meno quando devono interpretare qualcosa di estremamente umano come, appunto, il sarcasmo.

Le aziende investono su questo tipo di ricerca?
Fino a 5, 6 anni fa no. Fare ricerca era visto come un plus, soprattutto qui al sud ma ultimamente l’inerzia è cambiata. Se l’azienda ci vede un business puoi perlomeno sederti ad un tavolo e discuterne. Spesso c’è un problema di linguaggio tra mondo accademico e mondo imprenditoriale ed eventi come l’AI Forum servono proprio ad invertire questa tendenza.

In Italia, e in particolare al Sud, è difficile fare ricerca?
Qui ci sono dinamiche un po’ arrugginite ma non è vero che al Nord e all’estero ci sia l’El Dorado. Anche lontano dall’Italia si combatte con tagli dei fondi e precariato. Diverso il discorso delle aziende che investono moltissimo nel settore. Basti pensare alla Silicon Valley. Eppure, da queste parti, qualcosa si sta muovendo.

sabato 13 Aprile 2019

(modifica il 21 Luglio 2022, 21:54)

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salvatore di gennaro
salvatore di gennaro
5 anni fa

Cataldo è figlio del suo tempo, e chiaramente studia ed esalta le metodologie moderne che sono d'aiuto all'uomo, ma che rendono poi lo stesso vittima della tecnologia, senza cioè più capacità di scelta. Quando tanti, tanti anni fa affrontai l'esame di “Economia Politica”, mi sono già imbattuto nel concetto descritto da Cataldo: la “diseconomia”, cioè l'acquisto di prodotti per pura emulazione. Ora l'uomo crede che tutto ciò che viene creato dalle industrie sia per la sua comodità: niente di più sbagliato. E' la mia vecchia tesi: economia ed etica convivevano bene quando erano in equilibrio. Ora la prima ha preso del tutto il sopravvento sulla seconda, e lo squilibrio dà i suoi effetti: basti vedere, per esempio, alla tv, come la pubblicità superi ormai, come tempi, la trasmissione vera.

salvatore di gennaro
salvatore di gennaro
5 anni fa

Vorrei completare il discorso: quando dico: “niente di più sbagliato”, intendo affermare quale sia l'intento delle Case produttrici. Esse sanno, quelle tecnologiche, che da decenni stanno portando l'uomo verso l'alienazione, l'annullamento della sua volontà, l'autoisolamento, la sfida con gli altri e con se stesso nel desiderare e capire le novità o pseudo, dato che spesso sono furbe modifiche o esasperazioni di ciò che è stato già inventato. Ma la necessità di “vendere” è primaria dato che, con la parola “lavoro”, ormai si sacrifica ogni altro valore. Non solo: nel campo sociale è talmente diventato importante tale concetto, che tutto ciò che crea denaro, e quindi lavoro, diventa difficile ostacolarlo. Anche se spessissimo le attività sono illecite, immorali, inopportune. Ma è, “lavoro”.

antonino cannavacciuolo
antonino cannavacciuolo
5 anni fa

è sopratutto un bell'uomo…cestista sopraffino così come la sua mente! un giorno sarà sindaco di questo paese,vedrete…ed invaderemo Corato di spritz ed americani!!!!