Attualità

Quando la giustizia diventa spettacolo. Il processo mediatico finisce nella tesi del comandante Zona

La Redazione
Il maresciallo Pietro Zona con il presidente di commissione
Il controverso tema del "processo mediatico" ha catturato l'interesse del comandante della Stazione dei Carabinieri di Corato, Pietro Zona, che ne ha parlato nella sua recente tesi di laurea in Scienze della politica
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Seguire le vicende di cronaca nera avendo come unica fonte i talk show televisivi è ormai una prassi tristemente consolidata. Ledere la privacy delle persone direttamente coinvolte ed emettere sentenze di condanna solo in virtù dei primi elementi raccolti, anticipando le decisioni di tribunali e magistrati, è purtroppo divenuta la normalità.

E' il cosiddetto “processo mediatico” che, con tutte le sue criticità, ha catturato anche l’interesse del luogotenente Pietro Zona, comandante della Stazione dei Carabinieri di Corato. Il tema è stato affrontato nella tesi in Scienze della politica con indirizzo economico giudiziario, in cui Zona si è laureato alla fine del marzo scorso presso la seconda Università degli studi di Napoli.

Nell'elaborato il fenomeno è indagato a fondo, a partire dal principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. L'articolo 27, alla base del nostro ordinamento garantista, al secondo comm recita infatti: “L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Così Zona distingue tra verità processuale e verità mediatica.

«Il rapporto tra mass media e segretezza delle indagini è problematico – si legge nella tesi di laurea – poiché i mass media hanno la funzione di rendere pubbliche notizie, mentre le indagini sono caratterizzate da riservatezza, anche se, alle volte, si registrano "fughe di notizie"».

La differenza sostanziale tra il processo mediatico e quello vero nelle aule di tribunale riguarda l'aspetto emotivo. Le emozioni, ridotte al minimo nei palazzi di giustizia, pervadono invece ogni processo sugli schermi televisivi, dove risulta semplice ed immediata l'emissione di "sentenze" dotate di scarsa se non nulla attendibilità e fondate solo sulle sensazioni che una vicenda di cronaca nera è in grado di trasmettere. 

Il comandante – già laureato in Scienze dell'amministrazione, sempre con indirizzo economico giudiziario – sostiene che un soggetto imputato, alla luce di quando detto, corra il rischio di vedersi giudicare ben due volte: la prima da parte della magistratura, la seconda ad opera dell'opinione pubblica. È il noto concetto di spettacolarizzazione del diritto, che non giova al procedimento penale, «dal momento che la ricostruzione della verità dei fatti non ha bisogno di fragore, di trambusto, ma piuttosto, ha bisogno di elementi probatori sui quali deve essere fondata la decisione del giudice penale».

L'attenzione di Zona, ispirata anche dalla sua lunga esperienza sul campo, si concentra inoltre sul rapporto fra giornalisti ed esponenti del mondo della giustizia, definito «fortemente complicato dalle affinità esistenti tra i membri di questo binomio», poiché entrambe le attività «comportano l'esercizio di un potere che incide non poco sulla dignità dei cittadini, prima ancora che sulla loro libertà».

Nella tesi vengono presi come esempi due casi specifici balzati agli onori della cronaca: il delitto di Balsorano e quello di Cogne, entrambi altamente spettacolarizzati, probabilmente perché le vittime erano due bambini indifesi.

Chiudono il discorso alcune riflessioni sulla postmodernità e la sovraesposizione dei processi, lasciando intravedere l'opportunità di una corretta e civile collaborazione tra i mezzi di comunicazione di massa e il potere giuridico. Due mondi che spesso entrano in rotta di collisione, ma che potrebbero tuttavia orientarsi al medesimo obiettivo, vale a dire il rispetto della dignità umana.

domenica 19 Aprile 2015

(modifica il 25 Luglio 2022, 10:50)

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