Applausi a teatro

“Carmina Burana”, la passione travolge il pubblico

La Redazione
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"Carmina Burana": la magia della Spellbound Contemporary Ballet
Una lezione imperdibile per chi frequenta le scuole di danza della città
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Splendido. Non può che essere definito così lo spettacolo che ieri ha emozionato il pubblico del Comunale come in poche altre occasioni. Il lunghissimo applauso che ha accompagnato l'uscita degli artisti ne è la testimonianza.

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Con “Carmina Burana” i ballerini della Spellbound hanno conquistato il teatro dando prova della grande potenza espressiva dei loro corpi: un’ora esatta sulle tavole per una “narrazione” tanto sciolta quanto accattivate. Rapida e travolgente. Una lezione imperdibile per chi frequenta le scuole di danza della nostra città.

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Sulle musiche di Aleksandar Sasha Karlic, Carl Orff e Antonio Vivaldi – interpretando la meravigliosa coreografia di Mauro Astolfi – hanno danzato Maria Cossu, Mario Laterza, Giuliana Mele, Claudia Mezzolla, Giovanni La Rocca, Serena Zaccagnini, Violeta Wulff Mena, Fabio Cavallo e Giacomo Todeschi. Il disegno di Luci Marco Policastro, le scene di Stefano Mazzola e i costumi di Sandro Ferrone hanno completato l’opera.

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Un risultato che non può che fare onore al Ministero per i beni e le attività culturali dipartimento dello spettacolo e all’Azienda autonoma soggiorno e turismo di Maiori che hanno sostenuto la produzione nell’ambito dei Grandi eventi della Regione Campania.

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Dopo la prima assoluta a Maiori il 15 settembre 2006, lo spettacolo può vantare oltre 250 repliche in tutto il mondo comprese quelle con il nuovo allestimento per Prisma festival de Danza contemporanea organizzato a Panama nel 2014.

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La Compagnia Spellbound è nata nel 1994 grazie alla volontà del coreografo Mauro Astolfi di rientro da un lungo periodo di permanenza artistica negli Stati Uniti.

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Espressione di una artisticità e di un modello sia imprenditoriale che creativo in costante rinnovamento la Compagnia esprime una ricca progettualità artistica unita a una visione dinamica e in forte relazione con il territorio sia locale che ultranazionale. Applauditissima per l’eccellenza degli interpreti e la versatilità del vocabolario coreografico Spellbound conta presenze nei maggiori teatri e Festival convincendo le platee di Serbia, Germania, Francia, Croazia, Cipro, Thailandia, Svizzera, Spagna, Austria, Bielorussia, Stati Uniti, Canada, Israele, Panama, Russia e Corea.

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Queste caratteristiche pongono la Compagnia tra le proposte artistiche italiane leader nell’offerta culturale internazionale, attiva da sempre in progetti di dialogo in collegamento con la più fertile scena artistica europea e non solo grazie anche agli ampi programmi di formazione e avvicinamento dei giovani alla visione artistica contemporanea.

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«I "Carmina Burana" – precisa Riccardo Reim nelle note di regia – vennero ritrovati, numerosissimi (più di trecento componimenti di vario genere), in un manoscritto dell’abbazia di Benediktbeuren, da cui presero il nome. Vengono fatti risalire per la maggior parte al secolo XIII, quando non era troppo difficile, viaggiando per la Germania e la Sassonia, imbattersi nei goliardi (da cui il nome dato dalla tradizione italiana agli studenti universitari, che in realtà hanno poco o nulla da spartire con i loro omonimi medievali) o più propriamente clerici vagantes, letterati girovaghi studiosi della tradizione poetica greca e latina, cantori del vino, delle donne, del vagabondaggio e del gioco. Poesia burlesca, impudente, sovversiva: si parla senza troppi veli del corpo e della sua quotidiana avventura, se ne esplicano con gioia le funzioni, non si guarda all’altrove.

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Tace il linguaggio della ratio, si dimentica il decorum e si osa persino irridere audacemente al divino con le cosiddette “kontrafakturen”, ossia travestimenti di inni e motivi religiosi in canti profani che suonano come parodia degli evangeli, delle formule di confessione e delle litanie. Eros, dunque, riassorbe thanatos, l’homo faber si trasforma in homo ludens.

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Il corpo (a differenza di quello dei dannati nei “Giudizi universali” della pittura medievale che non conosce alcuna floridezza nella resurrezione, soltanto degradazione, pustole e infermità), non è mai detto animale, basso, “sozzo”, bensì viene innalzato, liberato e goduto, come nei versi di Ovidio, Marziale e Catullo.

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Da questo curioso magma di scurrilità plebea e raffinatezza cortigiana Mauro Astolfi trae – o per meglio dire, deduce in piena libertà, senza alcuna intenzione filologica – una coreografia tutta giocata tra “larghi” e “sfrenatezze” che agisce lo spazio quasi a volerlo contestare, divisa essenzialmente in tre momenti che scandiscono un crescendo liberatorio: si passa da una brutale aggressione sotto il cupo rombare della pioggia battente a una parte irriverente e grottesca che allude alle giullarate, per culminare infine nell’incendium cupiditatum, lo scatenamento delle passioni, che avviene nella taberna (qui anche – come spesso anticamente – bordello), luogo di appagamento degli istinti primari.

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Due i simboli chiave di questo balletto, calati in un’atmosfera inquietantemente metafisica: un grande armadio (visto, si direbbe, con gli occhi dell’infanzia che tutto colorano di mistero) e una tavola. Il primo (in cui i corpi dei ballerini si vanno quasi a riporre come abiti frusti), luogo di memorie, di segreti di ‘scheletri’ ipocritamente celati; la seconda, altare sacrificale della terrena voluptas, imbandita di corpi esibiti come cibarie tentatrici (Gola e Lussuria, essendo due vizi capitali, sono figli della medesima cova).

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“Carmina burana” dunque, come temerario “grido” del dissenziente che si pone di fronte “all’infrazione” senza soverchia paura e al tabù con il palese desiderio di infrangerlo sfidando consapevolmente censure e anatemi, giocando a carte scoperte la quotidiana partita contro la morte, recuperando il caos di Pan attraverso l’armonia di Orfeo, accettando la realtà senza spiritualizzarla, magari sconfinando nella “trivialità” e “nell’osceno”.

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Non si aspettano futuri compensi, ma si vive nell’oggi, riconoscenti a divinità dal volto pagano che non minacciano castighi e non promettono compensi oltre ciò che può dare l’immediata contingenza: non dèi, ma più familiari demoni, da cui lasciarsi possedere e invasare, come Eros, il quale, a dire di Platone, “è un demone grande”, e come tutto ciò che è demoniaco è “qualcosa di mezzo tra il dio e il mortale”».

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venerdì 17 Marzo 2017

(modifica il 23 Luglio 2022, 14:28)

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