Spalla

8 marzo: poche mimose, ma ancora tanto significato

Elena Albanese
Teresa Mattei
La penuria del fiore simbolo della Giornata dedicata alle donne, dovuta al freddo delle scorse settimane, è il pretesto per un piccolo excursus sulle origini (bufale comprese) di questa ricorrenza
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Oggi, 8 marzo, mimose non ce ne saranno in giro per la Puglia. Quelle poche che si riusciranno a trovare dai fiorai avranno prezzi incrementati anche del 20% rispetto all’anno scorso. Colpa dell’andamento climatico delle scorse settimane: l’anticipo di primavera di fine gennaio ha avviato le fioriture, che sono state drasticamente bloccate dal gelo di fine febbraio.

Lo dice la Confagricoltura. Da un certo punto di vista è davvero un peccato. A scegliere questo fiore – che è simbolo della Giornata esclusivamente in Italia – fu nel 1946 la partigiana e poi membro della Costituente Teresa Mattei. Le socialiste avrebbero preferito violette o orchidee. Ma «la mimosa era il fiore che i partigiani regalavano alle staffette. Mi ricordava la lotta sulle montagne e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente», disse tempo dopo in un’intervista. Fa specie che adesso sia invece diventato così raro e di conseguenza così costoso, quasi a perdere il senso originario della sua predilezione.

Ma vedremo di farcene una ragione. Poiché l’importante è che non si perda il senso reale di questa Giornata internazionale della donna (e non banalmente “festa”), che intende celebrare battaglie vinte e ancora in corso verso una vera parità dei sessi. Da costruire quotidianamente con il lavoro duro e costante, con la presenza, con le proposte e con le idee. E non concedendosi licenze poetiche sulla lingua italiana che declinino tutta la grammatica al femminile o imponendo ovunque per legge le “quote rosa”, come a difesa di un animale in via d’estinzione perché troppo debole per riprodursi.

Al di là di qualche bufala storica (che ci consola sul fatto che le fake news siano sempre esistite), come quella del mai accaduto incendio dell’8 marzo 1908 nell’inesistente fabbrica “Cotton” di New York in cui sarebbero morte numerose operaie tessili, questa ricorrenza è nata davvero nei primi anni del secolo scorso. Anche se all’inizio quasi a completo appannaggio delle sinistre, poi più universalmente riconosciuta, la Giornata celebra con orgoglio i traguardi ottenuti negli ultimi 100 anni, suffragio universale femminile in primis</i>; l’impegno per la pace (l’8 marzo 1917, a San Pietroburgo, furono proprio le donne a guidare una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra); ma anche il diritto allo studio e alla formazione, nonché la piena e paritaria partecipazione alla vita civile, sociale e lavorativa, a cui bisogna continuare ad aspirare e a tendere.

Del resto gli studi dimostrano che la presenza femminile in ogni campo dà un apporto considerevole in termini di performance, fiducia e benessere. Solo per fare un esempio, l’analisi quinquennale (2011-2016) “Gender balance”, condotta dal Gruppo Sodexo su un campione di 50mila manager di 70 aziende internazionali, riporta risultati interessanti. L’apporto“rosa” infatti accrescerebbe la sicurezza sul posto di lavoro (+12%), la produttività (+8%) e il tasso di partecipazione dei dipendenti (+12%).

Attualmente, a livello mondiale, le donne generano solo il 37% del Pil, nonostante rappresentino il 50% della popolazione in età lavorativa. Al contrario, la parità di genere, specie nelle posizioni di leadership, promuoverebbe gli interessi di tutti.

E questo la nostra Teresa Mattei – la stessa che scelse a mimosa – l’aveva già capito, tant’è che, eletta a Montecitorio, fece proprio un discorso sulla parità di accesso in magistratura. Un collega deputato obiettò: «Signorina, ma lei lo sa che in certi giorni del mese le donne non ragionano?». E lei: «Ci sono uomini che non ragionano tutti i giorni del mese».

giovedì 8 Marzo 2018

(modifica il 22 Luglio 2022, 18:02)

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