Politica

Per un pugno di like: quando la campagna elettorale viaggia sui social network

Vincenzo Pastore
Per un pugno di like in più: quando la campagna elettorale viaggia sui social network
«È un fenomeno legato all'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e alla legge elettorale in uso»: l'intervista a Francesco Nicodemo, esperto di comunicazione e nello staff di governo a Palazzo Chigi
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Dimenticate i megafoni, le utilitarie tappezzate di materiale propagandistico, le cassette della posta traboccanti di santini e schede elettorali fac-simile. L’Antonio La Trippa del 2018 ha uno smartphone in tasca, un addetto stampa, un copywriter, un videomaker, un grafico, un’agenzia di comunicazione alle spalle che lo teleguida in ogni momento della giornata.

Meno manifesti, più hashtag: il candidato moderno ha la sua faccia sui social network, ma non per strada. O sempre meno. A meno di dieci giorni dal voto del 4 marzo, i tabelloni elettorali delle nostre strade sono pressoché vuoti. Fanno quasi tenerezza agli occhi di chi passeggia sul corso o sull’estramurale. Infreddoliti dalle temperature pungenti di questi giorni, circondati da alberi spelacchiati, quei pochi manifesti in giro cercano riparo nelle vetrine abbandonate di vecchi locali commerciali non più in attività. Le loro facce si rivolgono a un elettorato che fu, che non naviga, che non si fa i selfie, che non geolocalizza la sua posizione.

«Leggo due ragioni» spiega Francesco Nicodemo, esperto di comunicazione e innovazione digitale, lavora a Palazzo Chigi nello staff del presidente del Consiglio. In precedenza è stato responsabile della comunicazione del Pd tra il 2013 e il 2014 e consigliere di Matteo Renzi.

«Una sicuramente legata all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Ma l’altra mi sembra molto legata al tipo di legge elettorale. Il peso dei candidati e dell’uninominale, lungi dall’essere determinante, è in realtà molto relativo. Gli unici che hanno speso in manifesti sono i candidati che ci credono davvero, quelli davvero conosciuti dai territori, o quelli la cui visibilità è fattore di cambiamento dello scenario».

Il candidato moderno dei nostri tempi fa campagna elettorale sui social network. Facebook è il media più gettonato e nazional popolare: via gli account privati, sì ai profili pubblici. In primis va scelta una bella immagine del profilo, sorridente e rassicurante. Poi si passa a quella di copertina, in cui trovano spazio la lista o le liste di supporto. E poi foto, tante foto: il candidato che saluta, il candidato che passeggia, il candidato in azienda, il candidato a Carnevale, il candidato dal vescovo. C’è anche spazio per il social del momento come Instagram: qui non bastano solo le foto, ma sbarcano anche le «story», brevi video che si cancellano automaticamente dopo 24 ore.

«Di per sé tutto questo non è un male – aggiunge Nicodemo – Io me li ricordo i manifesti che imbrattavano le nostre città, non era un bello spettacolo».

Piazze vuote, bacheche piene, mutuando il celebre slogan di Pietro Nenni. Quei pochi incontri pubblici si fanno negli spazi chiusi: nella sede del partito, in un cinema, in una sala ricevimenti con annesso rinfresco rigenerante. Si sta più caldi, più comodi, si fanno fotografie luccicanti pronte per essere condivise sul web. A Corato a preferire la strada si segnalano, al momento, solo il Movimento Cinque Stelle e Potere al Popolo.

Qualora la strategia social non arrivasse subito a destinazione, niente paura: arriva il messaggio diretto. Non la telefonata, tantomeno l’anacronistico sms. Si va di whatsapp: chat individuale o di gruppo, invito a un evento oppure, sono già salvate in bozze pronte per essere inviate, le classiche indicazioni di voto a ridosso delle elezioni.

Alle plance elettorali sparse qua e là per il paese restano le briciole. Volti più o meno noti accompagnati dalle solite promesse. Dominano le facce dei candidati nel collegio uninominale, cui sarà decisivo anche un solo voto in più per intascarsi il seggio. Ma riescono a ritagliarsi una dignitosa affissione anche i nomi in lizza nel listino bloccato del plurinominale.

«È una campagna elettorale molto brutta, si ha come l’impressione che il risultato sia già scritto e questo allontana molti elettori – conclude Francesco Nicodemo, in libreria con il suo volume “Disinformazia”, La comunicazione al tempo dei social media – In più il tema proporzionale ha fatto in modo che ogni partito spingesse l’acceleratore sulle promesse, molte impossibili da mantenere. Quasi a volersi curare solo il proprio elettorato di riferimento, per poi scaricare agli eventuali alleati di governo la responsabilità delle mancate promesse. Per fortuna manca solo poco più di una settimana».

Meno di dieci giorni per tramutare like e follower in voti. Sembrano il termometro mediatico di queste elezioni. Selfie e social network, pochi talk show, figuriamoci «quei programmi demenziali con tribune elettorali», per citare Battiato. Sarà vero consenso?

venerdì 23 Febbraio 2018

(modifica il 22 Luglio 2022, 18:48)

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Amedeo Strippoli
Amedeo Strippoli
6 anni fa

Prendete un problema di qualunque natura (politico, sociale, culturale, tecnico o altro) e datelo da risolvere a due politici: uno italiano e l'altro tedesco. Dopo un giorno, l'italiano avrà dieci idee per risolvere questo problema, il tedesco nemmeno una. Dopo due giorni, l'italiano avrà cento idee per risolvere questo problema, il tedesco nessuna. Dopo tre giorni, l'italiano avrà mille idee per risolvere questo problema, e il tedesco lo avrà già risolto.”

Vito Nullo
Vito Nullo
6 anni fa

È che questa volta, più delle altre, i giochi sono davvero fatti a priori.

 salvatore di gennaro
salvatore di gennaro
6 anni fa

Il grosso problema non è “come siamo fatti”, ma credere che siamo uguali agli altri. Il nostro comportamento anomalo è una realtà, e dipende, come ho avuto modo di sottolinearlo più volte, dalla nostra inconsueta formazione plurietnica, a cominciare probabilmente da qualche millennio fa, dalla non amalgama fra i vari ceppi costitutivi, dalla non presenza, fra di essi, di uno dominante, che li rendesse omogenei: Occorre quindi partire dalla nostra diversità per giungere, gradualmente, alla normalità. Sarebbe più facile attuarlo, che dirlo…