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Olio dall’estero, l’ira dei produttori: «Gli industriali tradiscono la nostra produzione»

La Redazione
Olio nuovo
Dura presa di posizione di Gennaro Sicolo, Tommaso Loiodice e Gino Canino - presidenti di ​Cno, Unapol e Unasco - dopo le parole a Tunisi del direttore di Assitol
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«Invece di proporre soluzioni per rilanciare l’olivicoltura nazionale e difendere il made in Italy, il direttore di Assitol benedice le importazioni a dazio zero, senza controllo, dalla Tunisia e ribadisce l’impegno degli industriali italiani nella selezione di oli di qualità in giro per il Mediterraneo. Si tenta, ancora una volta, di calpestare gli interessi degli olivicoltori italiani, giocando anche sulla pelle dei consumatori, in nome del business senza scrupoli: continueremo ad opporci con tutte le forze a questa logica».

Il mondo della produzione italiana risponde unito e sconcertato alle parole del direttore di Assitol, associazione degli industriali oleari italiani, Andrea Carrassi, riportate nelle ultime ore dagli organi di stampa.

In un incontro a Tunisi, infatti, Carrassi ha benedetto le importazioni di olio a dazio zero, senza controllo e programmazione, dal paese africano, ribadendo l’impegno delle aziende olearie italiane nella selezione di oli in giro per il Mediterraneo.

Consorzio Nazionale degli Olivicoltori, Unapol e Unasco non ci stanno e rilanciano.

«È grave che l’industria olearia italiana preferisca commercializzare un olio di dubbia provenienza, prodotto in condizioni igienico sanitarie disastrose attraverso manodopera sfruttata e sottopagata, al Made in Italy dei produttori italiani, tracciato e di qualità», attaccano i Presidenti Gennaro Sicolo (Cno), Tommaso Loiodice (Unapol) e Gino Canino (Unasco).

«Le parole di Carrassi sono gravi perché giustificano i comportamenti di molti industriali, anche di quelli più fraudolenti, protesi ad importare prodotto da paesi comunitari ed extracomunitari e a mettere sul mercato miscele di oli più o meno extravergini – dichiarano i rappresentanti del mondo della produzione olivicola italiana -. Queste parole smentiscono la stessa associazione degli industriali italiani, impegnata insieme a noi nel FOOI, Filiera Olivicola Olearia Italiana, che invece fino ad ora aveva sempre ribadito il sostegno alle iniziative della produzione per il rilancio dell’olivicoltura nazionale»

«Più che parlare di dazio zero dalla Tunisia, gli industriali italiani dovrebbero combattere contro le tante complicazioni che le nostre migliori produzioni di olio extra vergine di oliva devono affrontare quando cerchiamo di esportarle nel mondo – continuano i Presidenti di CNO, Unapol e Unasco -. Oltre ai dazi che tutti i paesi utilizzano, ci sono le cosiddette barriere non tariffarie, come le restrizioni quantitative, sanitarie, burocratiche e tecniche: Paesi come l’Australia, gli Stati Uniti, Taiwan, il Brasile, l’Arabia Saudita, l’India, la Cina e tanti altri le utilizzano per rendere difficile la vita agli esportatori di olio extravergine di oliva».

«Il 28 novembre incontreremo nuovamente il Ministro Martina e metteremo sul tavolo questi problemi – concludono i Presidenti di Cno, Unapol e Unasco -. Chiediamo al governo una presa di posizione definitiva a sostegno della produzione italiana e dell’olio extravergine d’oliva Made in Italy».

Alcuni dati
La Tunisia è un concorrente temibile per gli olivicoltori italiani. Ogni anno esporta in media 150mila tonnellate di olio di oliva e nel 2015 ha registrato un boom di 300mila tonnellate. In base ai risultati della più recente analisi condotta sotto l’egida del Consiglio Olivicolo Internazionale (Coi), i costi di produzione nel Paese nord africano sono il 60% in meno rispetto a quelli medi italiani, e la differenza è ascrivibile essenzialmente al minore costo della manodopera, all’assenza di controlli sanitari e di sistemi di tracciabilità.

La Tunisia conta su una superficie olivicola pari ad 1,5 volte quella italiana e, a differenza di quanto accade nel nostro Paese, negli ultimi anni, c’è stata una intensificazione degli investimenti in nuovi impianti, infrastrutture irrigue e meccanizzazione. È innegabile, quindi, l’esistenza di un rischio di ulteriore destabilizzazione della fragile olivicoltura italiana che deriva da una apertura del mercato, senza prevedere dei contrappesi tali da tenere conto delle differenze in termini di condizioni di lavoro e di normative ambientali e sanitarie.

venerdì 24 Novembre 2017

(modifica il 23 Luglio 2022, 0:02)

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La Verità
La Verità
6 anni fa

l’Italia, per sua natura è un paese importatore di olio. Compriamo olio dai paesi europei ed extra-europei e poi lo confezioniamo e lo mettiamo sul mercato come blend, ovvero come miscele di oli. Prima delle polemiche, proviamo a capire il mercato dell’olio

  "Dubito, ergo sum".
"Dubito, ergo sum".
6 anni fa

Prima della globalizzazione e della crisi finanziaria si valorizzava innanzitutto la “qualità”. Ora si pensa principalmente al costo del prodotto, con la speranza che “non faccia male…”.

riflettiamo
riflettiamo
6 anni fa

Voglio dire le cose come stanno … diretto!
Il problema non é la concorrenza .
1) Troppi intermediari si arricchiscono impoverendo chi
produce .
2) I produttori sono troppo divisi
3) Mancanza di professionalità nella valorizzazione
del prodotto : ” fare alla nueste “non funziona

tommasoarbore
tommasoarbore
6 anni fa

Fatti e poche parole!I presidenti dovrebbero imporsi nell'ottenere dal ministro unaDOP per la cultivar Coratina!!!