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Palazzina San Domenico, il murale di Kris Rizek fa vivere una “parete morta”

Marianna Lotito
Marianna Lotito
Palazzina San Domenico
Le interviste all'artista Kris Rizek, all'architetto progettista Giovanni Berardi e al costruttore Giuseppe Berardi
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Finalmente a Corato c’è un edificio con un respiro diverso, europeo, con lo stile delle grandi città. È il frutto della collaborazione di due fratelli, un architetto e un costruttore, e di un artista che da tempo fa parlare di sé. Nell’ordine Giovanni Berardi (Studio Atelier di BioArchitettura), Giuseppe Berardi (dell’omonima impresa edile) e Kris Rizek.

L’edificio che i due fratelli Berardi hanno progettato e costruito si chiama “Palazzina San Domenico”, prende il nome dal luogo in cui si trova: proprio accanto all’omonima chiesa. La facciata di via monte Carso, per sua natura “morta”, è diventata lo spazio per una nuova opera di Kris Rizek, l’autore dell’opera (purtroppo ormai andata perduta) realizzata in largo Abbazia ispirata al ricordo di “Carmela dell’Abbazia” e alla figura di Salomè presente in uno dei film di Lina Wertmüller. Non da ultimo, altre due opere che – sebbene di dimensioni molto più ridotte – hanno lasciato un segno in città: la “La pietà” e “Pace Pio”.

L’intervista a Kris Rizek

Con la “Palazzina San Domenico” Kris Rizek torna a Corato. Ormai sei di casa: come ti trovi qui da noi?
«Vengo spesso a Corato per vari motivi. Mi trovo molto bene. Tutto è cominciato con Verso Sud e mi sta portando fortuna».

Su Facebook hai scritto: «Ho lavorato al progetto elaborando le loro richieste… accettando la sfida! Non è di sicuro un Rizek». Cosa intendi precisamente?
«Quando accetti una commissione c’è una richiesta di qualcuno, la tua idea è compromessa. A meno che non ti diano una parete come tela/carta bianca. Di fatto però l’ho realizzata io, quindi perché non firmarla? È di certo un lavoro ben fatto ma è un po’ distante dalla mia idea di fare arte per strada: il mio concetto spesso riguarda tematiche attuali di denuncia e provocazione tra ironia e contraddizione».

Ci racconti l’opera?
«La vista della facciata non è frontale può essere vista solo da un lato o dall’altro della strada, per questo ho pensato di lavorare di prospettiva per dargli profondità. Ci sono spunti di architettura moderna, Escher, realismo e surrealismo. C’è anche un particolare della chiesa di San Domenico, le due bifore. Devo ammettere che è stato “un lavoraccio” in termini di fatica. Ci sono tanti dettagli e, a causa della posizione in cui si trova la facciata, è stato un po’ scomodo arrivarci. Pioggia, vento, sole in testa: non è mancato nulla. Ho usato di tutto e di più: cestello, autogrù, trabattello, rulli, pennelli, spray, stencil. Per finirlo ho impiegato ben 130 ore, più o meno due settimane, lavorando anche più di 12 ore in alcuni giorni. Volevo finire il prima possibile».

Hai altro in programma?
«Sì, ho una agenda abbastanza piena. Mi piace stupire la gente e lasciare sempre quella linea di mistero che ha il suo fascino. Perciò, abbiate pazienza, ma non posso svelare nulla».


L’intervista all’architetto progettista, Giovanni Berardi

L’opera di Kris Rizek è stata una scelta che potremmo definire “coraggiosa”?
«A dir poco, perché guarda molto oltre i confini della città. Il nostro obiettivo era migliorare l’arredo urbano. Volevamo creare l’effetto “sfondato” per attrarre l’attenzione dei passanti. L’effetto è quello di una doppia lettura possibile, orizzontale e verticale. La ringhiera diventa il collegamento con il cielo. La speranza – tenuta in vita anche dai primi riscontri ottenuti – è di aver ravvivato uno spazio urbano con un elemento di arredo in linea con il contesto».

Con il murale di Rizek volevate anche “raccontare” l’aspetto “green” dell’edificio. Poi?
«È vero, ma poi abbiamo optato per una soluzione più sobria limitandoci al verde che si “affaccia” dai balconi. In generale la palazzina è progettata per ottenere un nuovo concept abitativo dal punto di vista qualitativo ed estetico ma volevamo assicurare grande attenzione al contesto in cui è stata costruita. Per “ambiente” intendiamo lo spazio esterno costruito ma anche i materiali utilizzati (biosostenibili ed a basso impatto ambientale).

L’intera progettazione è basata sul protocollo di sostenibilità ambientale denominato “Protocollo Itaca”, indicato dalla Regione Puglia attraverso la L.R. 13/2008 sull’abitare sostenibile. Questo è il primo edificio plurifamiliare costruito in zona, basato sul concetto di “edificio ad energia quasi zero”, standard europeo che sarà obbligatorio in Italia a partire dal 1 gennaio 2021: standard Nzeb, “Net Zero Energy Building”, significa edificio ad altissima prestazione energetica con fabbisogno molto basso soddisfatto in maniera significativa dalla produzione di energia da fonti rinnovabili prodotta dallo stesso edificio. Abbiamo scelto il fotovoltaico indipendente per ogni appartamento, non condominiale, e acqua calda sanitaria prodotta con pannelli solari: bassi consumi e minima emissione di anidride carbonica».

giovedì 19 Ottobre 2017

(modifica il 23 Luglio 2022, 2:10)

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Nicoline Angenent
Nicoline Angenent
6 anni fa

MAGNIFIGO !!!!!

Carla bruno
Carla bruno
6 anni fa

Complimenti,È un'opera fantastica.