L'11 settembre 1943

Fu ammazzato in piazza dai tedeschi. La storia di Domenico Leone

Marianna Lotito
Marianna Lotito
Domenico Leone
​«Ha perso la vita per difendere la nostra città. Vorrei che Corato si ricordasse di figure come la sua». Così Domenico Scavo parla di suo nonno, Domenico Leone
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«Ha perso la vita per aiutare i carabinieri e difendere la nostra città. Vorrei che Corato si ricordasse di figure come la sua». Così Domenico Scavo parla di suo nonno, Domenico Leone: «da sempre in famiglia si ricorda la sua storia: “è stato ucciso dai tedeschi” mi dicevano quando ero piccolo». Dalle istituzioni però ancora nessun riconoscimento ufficiale.

Da qualche tempo, finalmente, Domenico Scavo è entrato in possesso di un documento che attesta la circostanza della morte di Leone: una relazione dei carabinieri di Bari sulle brutalità commesse dai tedeschi inviata alla Regia Prefettura e datata 25 febbraio 1944.

Nel testo si legge che i tedeschi «in seguito agli eventi bellici, durante l’invasione del territorio della Provincia di Bari, commisero numerose brutalità». Tra queste una ha coinvolto anche Corato.

Nello specifico «l’11 settembre 1943 – riportiamo testualmente le parole della relazione – circa 8 soldati germanici, giunti con una macchina in piazza Municipio tentavano d’impossessarsi dell’autocorriera che presta servizio Corato-Trani.

Alcuni militari dell’Arma, coadiuvati da guardie campestri e vigili notturni, si opponevano all’atto criminoso. Ne nasceva un conflitto armato durante il quale da parte tedesca venivano sparate varie raffiche di mitragliatrice e di pistola mitragliatrice. Da parte dei militari dell’Arma colpi di moschetto.

In tale occasione veniva ucciso il bracciante Leone Domenico di Savino, nato a Corato il 6 aprile 1912, che volontariamente aveva voluto prestare valido aiuto all’Arma. Rimanevano invece feriti il vigile notturno Giuseppe Perrone, nato a Corato il 9 luglio 1912, e Martinelli nato a Spinazzola».

Cosa accadeva in città in quei giorni? Lo abbiamo chiesto allo studioso coratino Pasquale Tandoi, autore di numerosi volumi di storia e, in particolare, della trilogia “Corato in camicia nera”.

«Erano i giorni immediatamente successivi all’8 settembre 1943 – spiega Tandoi – Dopo settimane di trattative segrete, viene reso noto l’armistizio tra il governo italiano guidato da Badoglio e gli alleati anglo-americani.

La pagina più buia della storia di quegli anni – commenta Tandoi – Da quel momento i tedeschi, insieme ai quali avevamo combattuto in varie zone dell’Europa e dell’Africa, diventano i nostri nemici. L’esercito italiano, lasciato senza ordini, soprattutto per quanto riguarda l’atteggiamento da tenere verso l’ex alleato tedesco, si dissolve. A decine e decine di migliaia i nostri soldati vengono fatti prigionieri già il giorno dopo».

Quali altre notizie si hanno di Domenico Leone?
«Questo episodio si inserisce a pieno titolo nella cronaca di quei tempi: Corato visse un vero periodo di terrore. I tedeschi compirono saccheggi e devastazioni, diverse volte sequestrarono mezzi privati.

Dalle ricerche che ho compiuto in questi anni è emerso che Leone era un bracciante agricolo, soldato in licenza di convalescenza. Quel giorno si trovava in caserma, era armato. Seguì il maresciallo Lo Presti e aiutò i pochi militari dell’Arma rimasti. Perrone, di cui si legge nella stessa relazione, era invece il comandante dei vigili notturni. Anche lui rispose al fuoco.

Di sicuro fu uno scontro armato impari: alle mitragliatrici dei tedeschi i coratini risposero con a colpi di moschetto».

Cosa accadde nei giorni successivi?
«I tedeschi erano a Corato già da luglio. Rimasero fino al 22-23 settembre, data in cui possiamo dire che da noi finì la guerra: prima di abbandonare la città la bombardarono per 45 minuti, utilizzarono i cannoni piazzati nella villa della famiglia Gioia, in via Andria. I segni di quell’attacco sono ancora visibili su palazzo Gioia, sul vecchio liceo e su palazzo Lamonica. Furono colpiti anche diversi appartamenti che si trovavano in via Duomo».

Ha già raccontato di queste vicende in uno dei suoi libri?
«In realtà sto per farlo. Dopo l’estate, quando i miei nipotini mi daranno tregua, darò alle stampe il terzo volume di “Corato in camicia nera”: sono 365 pagine in cui racconto la vita di Corato durante tutto il periodo della guerra, dal ‘40 al ‘45, per arrivare poi al 1946 con il ritorno alle elezioni, alla democrazia.

Non mancano i capitoli dedicati al periodo di maggior consenso al fascismo, all’epoca della conquista dell’Etiopia, della guerra in Spagna per cui partirono tanti coratini: do spazio alle vicende di tanti di loro. A rendere particolarmente “vive” le pagine ci saranno le tante lettere dei prigionieri coratini che ho avuto la possibilità di leggere e che, a mia volta, riconsegno alla città».

domenica 16 Luglio 2017

(modifica il 23 Luglio 2022, 7:32)

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 salvatore di gennaro
salvatore di gennaro
6 anni fa

Le vittime del nazismo e delle “Brigate rosse”: sono gli unici, tristi motivi per i quali si risveglia la nostra memoria. Sono due facce della stessa medaglia, che stanno ad evidenziare le infelici scelte fatte dai nostri governanti, sovrani o parlamentari, nei momenti più cruciali della vita dell'Italia: l'alleanza con i tedeschi; l'incapaciità di contenere il ridicolo (perchè scimmiottato dall'estero) movimento studentesco che in breve, trasformandosi in pura violenza sociale, dette inizio agli “anni di piombo”, e costituendo, con l'esaltazione dell'ignoranza e dell'anarchia, la base del caos sociale che stiamo vivendo. Una terza fase, ancor più micidiale, è ora quella dell'incessante invasione straniera, che ci porterà, ma inutilmente, a difendere le nostre case e la nostra libertà.