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Ex discarica Belloluogo, le guardie per l’ambiente: «Monitoraggio insoddisfacente, non accertata l’origine del problema»

La Redazione
La vecchia discarica di via Belloluogo
«In quell'area per tutto agosto e parte di settembre 2015 è stato verificato come "si sprigionassero fumi in maniera continua". Le analisi hanno invece avuto un orizzonte di ricerca completamente diverso» dicono
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Secondo le guardie per l'ambiente la questione discarica di via Belloluogo non è ancora risolta. Per loro l'esito del monitoraggio ambientale affidato all’Università di Bari dal Comune, non è abbastanza soddisfacente. E, anzi, apre ad altri interrogativi.

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«Effettuare delle analisi e non aver accertato il problema per cui tutto nasce, ci sembra l’ennesimo tentativo di portare i fatti su un altro terreno» scrivono le guardie. «In quell’area per tutto agosto e parte di settembre 2015, come accertato anche dalla Asl e dalla polizia locale, è stato verificato come “nella parte retrostante l’area in oggetto, si sprigionassero fumi in maniera continua”. Questo nonostante piogge continue ed abbondanti, accadute proprio in quei giorni. Qualcosa bruciava ed ancora oggi non si sa cosa e quali effetti abbia provocato. L’alone acre e giallastro lungo la fessurazione è ancora vivo negli occhi di chi ha visto impotente sbuffare per giorni, settimane, quella discarica.

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Le analisi commissionate, con un costo di oltre 30mila euro, invece, hanno avuto un orizzonte di ricerca completamente diverso. Lo si evince cartolarmente dalla relazione e dalle chiare e nitide dichiarazioni del prof. Pennetta del Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell’Università di Bari che dice di non sapere di che fumi si tratti e, anzi, ha sottolineato che “i fumi non li ho visti e per questo non posso affermare con certezza da cosa fossero provocati”. E ancora, peggio, ipotizzando che “se piove, la parte superiore si bagna, esce il sole ed evapora”.

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Forse ci ha presi per degli sprovveduti. Se le indagini sono iniziate a febbraio 2016, dopo sei mesi dai fatti, quali fumi avrebbe potuto mai trovare il dott. Pennetta? I fenomeni di aggressione ambientale hanno tempi ridotti ed effetti devastanti e specchiati a lungo termine. Non dobbiamo mica spiegarlo noi. Perché il Comune non si è attivato nelle 48 ore previste dalla legge, che in questi casi impone l’indagine preliminare (sul fatto denunciato)? Come ha chiarito il Tar Puglia nella sentenza n. 1089/2016 gli obblighi di vigilanza e custodia incombevano ed incombono al Comune di Corato.

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Peraltro curiosa la metodologia utilizzata. Le analisi delle matrici ambientali si sono risolte di fatto in tre prelievi di acque e quattro di aria.

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I prelievi di aria sono stati effettuati scavando solo due metri dal piano calpestabile, senza, a nostro avviso, arrivare nelle sacche dove vi sarebbe potuta esserci ancora produzione di gas derivante dalla macerazione dei rifiuti (visto che è stata accertata ancora oggi la presenza di umidità).

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Che cosa ci si può aspettare a solo due metri di profondità di una discarica che è alta dal fondo almeno 60 metri circa? È come analizzare lo zucchero a velo su di una torta alta 60 metri.

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E ancora. I prelievi delle acque sono stati effettuati a quasi un anno di distanza dal fenomeno denunciato e non sappiamo neanche se le acque prelevate dai due pozzi, distanti peraltro a 2 km dalla discarica, si trovino proprio lungo la linea di deflusso proveniente dalla discarica stessa. La particolare conformazione dei calcari stratificati e intensamente disarticolati dimostrano la fragilità di quel “contenitore di rifiuti a perdere”.

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Va ricordato che nel 1990 era stato ordinato all’azienda municipalizzata di Corato, che ne aveva la gestione, di provvedere ad un progetto organico di bonifica di tutta l’area, alla luce della grave situazione igienico sanitaria accerta dall’Usl Ba/ in data 24 luglio 1990 e collegata alla mala gestione della discarica comunale.

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Se la relazione si conclude con “un trascurabile rischio per la salute umana” proprio tranquilli non siamo. Il vedo non vedo non ci è mai piaciuto. Del resto non vi sono tracce né di analisi di campioni di terra e né di una indagine sull’inquinamento radioattivo. Non dimentichiamo che molti rifiuti derivati dalla produzione del latte radioattivo di Chernobyl, che molti imprenditori casari dell’epoca compravano a due lire, furono sequestrati e interrati proprio in quella discarica.

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In chiusura, un ultimo dubbio. Se il sito non è pericoloso, perché accanirsi e destinare altri 15mila euro per impugnare il provvedimento del Tar che ha visto una prima ordinanza presidenziale, una sospensiva ed una sentenza “malmenare” il Comune di Corato per l’ordinanza di bonifica a carico del proprietario dell’area? Delle due l’una. O il sito non è pericoloso e non necessitava di bonifica come ci è stato paventato, oppure è pericoloso e il proprietario deve bonificare al posto del Comune.

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Ed è in quest’ultima direzione che andrebbe il ricorso proposto in appello. Ma non possiamo più meravigliarci di niente. Il caso Ilva – concludono le guardie – ci ha insegnato già tante cose».

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domenica 27 Novembre 2016

(modifica il 23 Luglio 2022, 21:06)

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M.M
M.M
7 anni fa

TOTALMENTE IN ACCORDO CON LE GUARDIE AMBIENTALI,COME CITTADINO ESIGO CHE SI VADA A FONDO .CON LA SALUTE PUBBLICA NON SI DEVE LASCIARE NULLA AL CASO.