Dall’antica tradizione del “maritaggio”, oggi rinasce il desiderio della solidarietà verso chi ne ha bisogno.
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È questo uno tra i frutti più belli dell’opera di riscoperta della storia e delle origini della confraternita del Santissimo Sacramento di Corato che quest’anno ha raggiunto il 250esimo anniversario della “Regole di fondazione”.
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Ieri, nella sala verde del Palazzo di città, l’archivista coratina Maria Francesca Casamassima ha analizzato le linee principali del lodevole lavoro di catalogazione, studio e sistemazione dei documenti conservati nell’archivio della confraternita. Un’attività svolta insieme a Maria Cristina De Benedittis, allieva – come la Casamassima – della scuola di archivistica, paleografia e diplomatica dell’Archivio di Stato di Bari.
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Uno studio su «una testimonianza insostituibile che merita di essere amata di più» come lo ha definito Maria Giuseppina D’Arcangelo, funzionario della Soprintendenza Archivistica della Puglia e della Basilicata.
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Cosa era il “maritaggio”
nUna specie di “prestito” concesso alle ragazze che non potevano contrarre matrimonio poiché sprovviste di dote. Il giorno di Natale, in occasione della solennità del Corpus domini e dal 1890 il 15 agosto, si procedeva con un vero e proprio sorteggio attraverso cui si assegnava la somma di denaro necessaria per le nozze. Il fondo per i maritaggi veniva alimentato dalle donazioni ma anche dalle restituzioni che le giovani mogli “sorteggiate” pian piano riuscivano a fare.
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Oggi il “maritaggio” si trasforma in una donazione alla Caritas diocesana
n«Utilizzeremo la donazione che la confraternita vorrà concederci per provare a far vivere in condizioni più dignitose le ragazze che ospitiamo nel centro di prima accoglienza. Incontriamo ogni giorno le loro storie di violenza subita e vedere un loro sorriso, vi assicuro, è un grande traguardo». A testimoniarlo è don Raffaele Sarno, responsabile della Caritas diocesana.
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Anche la Fidapa si unisce a questo gesto: «dal primo dicembre offriremo delle bottiglie di vino realizzate dalla Cantina sociale Terra Maiorum con una nostra etichetta e devolveremo una parte del ricavato per questa missione» ha annunciato la presidente, Angela Quinto.
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Qualche cenno sull’archivio
nDell’interessante lavoro che le due studiose coratine stanno portando avanti, tanti sono gli aspetti che meriterebbero attenzione. Non a caso si attende la conclusione del lavoro perché all’intera comunità, cittadina e non, venga presentato un «inventario completo con una introduzione che dia dei cenni dell’archivio e spieghi i criteri di ordinamento» come specificato dalla D’Arcangelo.
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Intanto, è dai dettagli che si può cogliere il senso più autentico di questo percorso.
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La nascita delle confraternita
nCome illustrato dalla Casamassima, dall’archivio purtroppo non è emersa con certezza la data di costituzione della confraternita che, di sicuro, è tra le più antiche di Corato. Viene in aiuto l’iscrizione che si trova all’interno del corridoio della sacrestia della chiesa Matrice: il calice, sormontato dalla patena e da un’ostia, con l’anno 1540.
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Fu poi il vescovo di Pozzuoli, Nicolò di Rosa – il 30 agosto 1766 – a firmare le “Regole di fondazione” della confraternita affinché un mese dopo arrivasse il Regio assenso da Ferdinando IV di Borbone, Re delle due Sicilie. Solo allora, come testimoniato dal fondamentale documento mostrato dalla Casamassima, la confraternita acquisì fisionomia e rilevanza sul piano religioso e giuridico.
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Domenico Petrone il primo priore, Luca Balducci cassiere e Mauro Vito Patrone procuratore. Il canonico Vit’Antonio Quercia figura invece come cancelliere. Erano 24 in tutto «i fratelli sottoscrittori» come precisa la Casamassima: «leggiamo 27 nomi per un errore di chi ha scritto il documento, tre nomi sono stati scritti due volte».
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In origine a farne parte erano uomini provenienti dal ceto dei «rustici e braccianti» e per far pare della confraternita dovevano mostrarsi «esemplari nella devozione e culto verso Iddio Benedetto e del SS. Sagramento dell’Altare».
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Le regole
nTra le regole a cui si attenevano i confratelli fa riflettere quella relativa al rispetto dovuto ai defunti. Si doveva partecipare ai funerali dei membri della propria confraternita così come a quelli delle altre se chiamati ad intervenire. In caso di assenza bisognava versare “la pena” di mezza libbra di cera: una usanza che la dice lunga sul modo di comportarsi oggi in casi di questo genere.
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La missione solidale
nLungo l’elenco delle opere di beneficenza realizzate negli anni dalla confraternita. Spiccano quelle per l’ospedale civile “Umberto I” nel 1863, per la scuola di arti e mestieri, per i poveri “segnati dall’arciprete o da un confratello”, per gli operai poveri ed inabili, per il Centro aperto degli anziani di Corato.
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La confraternita oggi
n«Vogliamo ripartire dalle nostre origini perchè ne siamo orgogliosi» ha detto il priore, Pasquale D’Introno, raccogliendo l’approvazione di mons. Giuseppe Pavone, vicario generale dell’Arcidiocesi di Trani.
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«Siamo nati come “opera pia”, dedita alla vicinanza ai bisognosi, e questo è lo stile che vogliamo portare avanti» ha precisato D’Introno. «Anche la ricerca del bello, della Storia, che nasce dal lavoro di studio dell’archivio, per noi è un servizio reso alla comunità».
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Un modo per «essere cristiani credibili» e non “solo” credenti, come ha sottolineato don Gino Tarantini, referente cittadino per la Diocesi per i Beni Culturali Ecclesiastici.
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Non a caso anche l’amministrazione ringrazia la confraternita: «ci state offrendo l’occasione di sentire “il buon profumo” della nostra storia, un patrimonio che dobbiamo consegnare ai nostri figli per renderli fieri delle loro origini, ricchi di opportunità» ha commentato il sindaco Massimo Mazzilli.
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«Sono azioni come questa a riempiere di contenuti i progetti per il turismo culturale su cui tanto siamo investendo» ha aggiunto Aldo Patruno, direttore generale del Dipartimento beni culturali e turismo della Regione Puglia. «Questo è Piiil – ha spiegato – un modello di alternativo di sviluppo che individua e crea un prodotto nuovo partendo dall’identità del territorio. Grazie all’innovazione si passa dal volontariato all’impresa culturale: si crea lavoro».
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