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“Arrivederci Corato”, i giovani tornano al nord. De Benedittis: «Serve un nuovo Sud»

La Redazione
Una ragazza in treno
De Benedittis: «Dov'è finito il pensiero meridionalista che per cent'anni si è battuto per dare voce a un Sud che qualcosa da dire ce l'ha?»
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Finiscono le feste, le case si svuotano e le bacheche di facebook si riempiono di "Arrivederci Corato". Corrado De Benedittis, responsabile della Caritas cittadina ma anche animo sensibile alle dinamiche della società e dell’uomo, coglie l’occasione per raccontare di un Sud che deve trovare la forza del riscatto.

“Prendendo posto” accanto ai tanti giovani che ieri, o al massimo oggi, si sono rimessi in viaggio per tornare a lavorare nel nord Italia – ma anche ripercorrendo i passi di Gaetano Salvemini o Tommaso Fiore – De Benedittis lancia il suo appello: «ci vuole una mobilitazione culturale forte. Questa terra può avere un futuro importante se la sua gente imparerà a conoscerla e a difenderla».

Chiamata in causa anche la politica: «Non basta più amministrare, occorre governare. Un giovane di vent’anni deve avere nelle istituzioni cittadine il suo sponsor ufficiale. Sembra incredibile come nel nostro Comune non ci sia un assessorato al lavoro, di fronte a una così grande partenza di ragazze e ragazzi».

Di seguito la sua lettera aperta.

«In questi ultimi giorni di festa, la nostra città torna a svuotarsi. Tanti volti amici, ritrovati in questo periodo natalizio, sono ormai già lontani, tornati nelle tante città del Nord, a lavorare o a studiare.

L’esperienza del distacco, se sei nato a Sud, diventa una dimensione esistenziale, quasi un destino, la cifra spirituale dell’essere meridionali. Si parte. Si deve partire. Una storia che non cambia da più di cent’anni. Il Sud terra maligna, stregata, arida di futuro; terra in cui si nasce, ma non si vive.

Eppure, io continuo a pensare a un altro Sud: terra stregata, sì, ma di bellezza e di magia; da vivere e da riscoprire; da amare e da far parlare.
Invece, ormai, questa è terra muta, ridotta al silenzio, senza le voci giovanili di tanti che se ne vanno. Un’emorragia di presenze che lascia attoniti. Corpi, voci, volti, sguardi andati via. Lasciàti andare.

Certo, partire è importante, perché c’è il mondo da vivere e da conoscere; perché apre gli orizzonti e sprovincializza.
Il partire meridionale, però, è diverso: è un distacco da se stessi; da un modello antropologico e culturale; è un mettere da parte un pezzo di noi; è il distacco fisico da un territorio, perché si parte per il futuro sapendo che sarà altrove.

Il Sud ha una grande responsabilità in tutto questo! C’è tutto un modo di pensare il Mezzogiorno al negativo che si inietta sistematicamente nelle nuove generazioni. Ai ragazzi, nelle scuole, sin da piccoli, s’insegna un Nord come modello vincente, come prospettiva, mentre il Sud al massimo è recuperato come folclore e dialetto nelle recite di Natale o di fine anno.

Succede, così, che al quinto anno della scuola superiore, i ragazzi hanno, spesso, un solo grande modello e mito: il Nord d’Italia e d’Europa.
Dov’è finito il pensiero meridionalista che per cent’anni si è battuto per dare voce a un Sud che qualcosa da dire ce l’ha? Penso a intellettuali e politici come Gaetano Salvemini o Tommaso Fiore che nelle piazze e nelle istituzioni d’Italia hanno difeso e interpretato il Sud come civiltà da rispettare e riconoscere. Pensiamo alla fierezza con cui Tommaso Fiore diede voce alla civiltà di quel popolo di formiche che furono i cafoni meridionali.

Pensiamo al rigore morale con cui Salvemini si oppose ai progetti giolittiani di un piano di sviluppo per il Sud, pensato a prescindere dalla consapevolezza di che cosa sia Meridione. Io dico che ci vuole una mobilitazione culturale forte. Capire, cioè, che questa terra può avere un futuro importante se la sua gente imparerà a conoscerla e a difenderla.

Per vent’anni, attraverso il movimentismo e l’associazionismo, abbiamo raccontato un altro Sud possibile: un Mezzogiorno riconciliato con la sua terra e con il suo mare; abbiamo cercato di dire che questa terra bellissima può esprimere un altro modello di sviluppo, più equo, più sostenibile, con più lavoro per tutti; abbiamo detto che c’è un modello mediterraneo alternativo a quello atlantico.

Oggi, invece, siamo alle soglie di una nuova devastante negazione culturale del Sud: da Roma, il Governo pretende, ancora una volta, di cancellare questa prospettiva meridionale e mediterranea e, con un’offerta speciale, quanto mai arrogante e neocoloniale, svendere alle multinazionali nordiche del petrolio e del gas la bellezza del nostro mare e della nostra terra.

Tanto, i giovani del Sud potranno continuare a emigrare. Bisogna ripartire dalla città e dalle sue istituzioni. Tutto va interpretato in modo nuovo. Non basta più amministrare, occorre governare.

Occorre cioè che un giovane di vent’anni abbia nelle istituzioni cittadine il suo sponsor ufficiale; abbia dalle istituzioni la possibilità di partire, sì, ma portandosi dentro una Comunità attenta, civile, capace di proporre modelli e opportunità di ritorno.

Sembra incredibile come nel nostro Comune non ci sia un assessorato al lavoro, di fronte a una così grande partenza di ragazze e ragazzi.
Non si tratta soltanto di aprire vetrine in questa o quella fiera in Italia e in Europa, con gran dispendio di soldi pubblici; si tratta, invece, di avere il coraggio politico e culturale di costruire relazioni dal basso tra territori, tra regioni, tra paesi, di qua e di là del mare proponendo un modello di sviluppo diverso, capace di completare il sistema Europa.

Tutto questo richiede una rivoluzione antropologica e culturale che, oggi, solo il Sud può fare, e magari ne avessimo consapevolezza!».

mercoledì 7 Gennaio 2015

(modifica il 25 Luglio 2022, 15:20)

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Raffaella Patruno
Raffaella Patruno
9 anni fa

Mi ha fatto davvero un forte effetto leggere queste parole che rappresentano senza dubbio la fotografia di quello che accade..e fa tristezza. Io da 12 anni sono emigrata al Nord e le parole non bastano per descrivere il forte desiderio che specie da qualche anno sento di tornare a casa… di portare ciò che ho imparato negli anni, con sacrificio e, ahimé pochi soldi (perché al contrario di un tempo nemmeno a MIlano si guadagna più!) nella mia terra. Ma non è facile! Non passa giorno senza che provi a cercare un’opportunità che mi permetta di rimettere la mia vita in valigia per riportarla lì dove ho voglia che stia e si radichi. Ma non succede nulla. Tuttavia cerco di non arrendermi, confidando nel pensiero che, chissà, un giorno, i miei figli possa metterli al mondo e farli crescere lì dove i valori e il senso della semplicità esistono ancora.

giordano bruno
giordano bruno
9 anni fa

e te credo, con l’arroganza dei politici locali, che lavoro vuoi che trovino i giovani d’oggi? Che speranza alcuna hanno coloro che sono fuori dal feudo? Chi lavora, i cervelli veri fuggono, per essere considerati altrove! Bella cosa vero?